martedì 8 dicembre 2015

Repubblica 8.12.15
Il contagio di Parigi e l’insofferenza di Matteo
Il fronte populista italiano arriva al 45% tra M5S, Lega e Fdi. Ed è da dimostrare che le riforme bastino a disinnescarlo
di Stefano Folli


DOMENICA prossima il sistema elettorale francese a doppio turno potrebbe rendere un favore a quanti in Europa vivono con apprensione l’avanzata del populismo lepenista. Infatti, a meno di un imprevedibile smottamento dell’opinione pubblica, il successo del FN è destinato a ridimensionarsi in parte. Sia la destra classica di Sarkozy sia i socialisti di Hollande, laddove saranno presenti, sono in grado di aggregare elettori in modo assai più massiccio dei lepenisti. È la logica del secondo turno: la Le Pen è sola, gli altri possono ricucire insieme i segmenti di elettorato che si sono divisi in prima battuta. Tuttavia il dato di fondo non cambia. Il lepenismo ha scosso l’albero dell’Europa e ha raccolto circa sei milioni di voti in nome della rivolta contro le “élites” tradizionali, contro la tecnocrazia di Bruxelles e, ovviamente, contro l’Unione di impronta tedesca. È una realtà innegabile che cambia tutti i vecchi equilibri. Matteo Renzi se n’è reso conto con prontezza di riflessi, ma la sua analisi del voto francese è convincente a metà.
Il presidente del Consiglio (e segretario del Pd) si rivolge alle “istituzioni europee” e le invita a «guardare in faccia la realtà». Ossia a trasformarsi perché «senza un disegno strategico, soprattutto sull’economia e la crescita, i populisti vinceranno ». Il monito renziano è in sé giusto, ma rischia di ridursi a un gesto estemporaneo se non viene precisato meglio. C’è un’iniziativa italiana alle porte per richiamare l’Europa alle sue responsabilità? E chi dovrebbe dare principio al nuovo «disegno strategico»?
Chi conosce Renzi sa come il premier negli ultimi tempi abbia maturato un certo risentimento verso Angela Merkel, colpevole ai suoi occhi di non assecondare con sollecitudine la fine dell’austerità. Ma non è chiaro quali siano le tappe di questa “sfida all’Europa” di cui il presidente del Consiglio parla spesso, senza indicare peraltro i bersagli dell’insofferenza italiana. Il che rischia di essere pericoloso. È come se Renzi avesse colto il messaggio in arrivo dalla Francia e temesse il contagio, ma senza disporre degli strumenti per agire con efficacia sui “partner” europei. In termini politici, questo si chiama restare in mezzo al guado, stretto fra la minaccia populista e il desiderio un po’ velleitario di rovesciare il tavolo dei rituali comunitari («cambiare verso all’Europa» era lo slogan ai tempi del semestre italiano, quando peraltro i risultati non furono pari alle attese).
D’ALTRONDE, le ragioni che alimentano il populismo sono talmente profonde che potrebbero volerci anni prima di offrire nuove sicurezze ai cittadini dell’Unione, gestire in modo razionale gli immigrati, garantire ai giovani che il domani sarà migliore dell’oggi. I tempi della politica sono assai più rapidi, specie in Italia dove si voterà fra pochi mesi nelle città. Certo, Renzi si dice «preoccupato per l’Europa, non per l’Italia». Infatti qui «vinciamo noi (il Pd, n.d.r.) perché le riforme finalmente stanno dando frutti: la maggioranza degli italiani sta con chi vuole cambiare, non con chi sa solo lamentarsi».
IN REALTÀ i timori del presidente del Consiglio riguardano proprio l’Italia, come è logico che sia. I sondaggi collocano intorno al 44-45 per cento la somma ipotetica del voto ai Cinque Stelle, a Salvini e a Giorgia Meloni: il nuovo fronte populista. Il quale, come è noto, è diviso e agisce nell’assoluta mancanza di coesione politica, senonché in certi casi le convergenze le realizzano gli elettori. Ed è tutto da dimostrare che le riforme fin qui realizzate - non abbastanza “radicali” avverte l’ex segretario Bersani - siano sufficienti a frenare l’onda anti-sistema che in Italia assume forme anomale rispetto alla Francia, ma forse non meno devastanti. Sono interrogativi che oggi non hanno risposte definitive. Quel che è certo, i francesi si difendono anche con la legge elettorale uninominale a due turni. In Italia abbiamo l’Italicum, che è un’altra cosa e non è mai stato sperimentato.