venerdì 4 dicembre 2015

Repubblica 4.12.15
L’opportunità del crocifisso
risponde Corrado Augias

GENTILE Augias, date le polemiche su crocifissi, presepi e visite pastorali, ricordo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che nel 2009 e poi nel 2011 sentenziò sul caso Lautsi vs. Italia in merito all’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche. La sentenza definitiva deliberò di lasciare allo Stato italiano quel “margine di discrezionalità” che permette di mantenere il crocifisso esposto nelle aule. Un passo fondamentale della sentenza però diceva: «La Corte sottolinea che un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose». Ciò significa che l’esposizione dei simboli (si può ragionevolmente estendere il concetto ai presepi) è lecita solo se “passiva”. Qui non si parla di impedire la libertà religiosa, ma di regolamentare le attività della scuola pubblica (che è ben diverso). Noi continuiamo a credere che l’esposizione obbligatoria di simboli religiosi nelle aule violi l’articolo 2 del Protocollo n. 1 della Carta dei Diritti, che obbliga lo Stato a rispettare il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche.
Massimo Albertin e Soile Lautsi Q UELLA disputa si chiuse com’era prevedibile, con un compromesso racchiuso nel termine “margine di discrezionalità” con il quale, nel caso italiano, ci si riferiva tra l’altro a una serie di circolari ministeriali risalenti addirittura agli anni del fascismo. Sul problema che di tanto in tanto riesplode del crocifisso esposto nelle aule scolastiche e in vari uffici pubblici la mia opinione è che sarebbe nell’interesse stesso della chiesa cattolica rimuovere quel segno che, logorato dall’uso, finisce per diventare insignificante. Ben lontano dal ricordare il tormento inflitto all’uomo Gesù, quel cadaverino composto e se posso dire così “bene educato” nasconde quale atroce patibolo fosse la croce, una delle peggiori mai inventate per quantità di sofferenza e durata dell’agonia. Basta pensare che sulla croce si moriva lentamente soffocati per cui i cadaveri dei condannati assumevano negli ultimi istanti posture tragicamente contorte. Le salme venivano poi lasciate appese al legno per giorni affinché le fiere e i rapaci ne facessero scempio. Nulla di tutto questo c’è nei crocifissi appesi qua e là che finiscono per diventare unicamente un segno di possesso territoriale più che un richiamo religioso all’uomo venerato come fondatore del cristianesimo. Naturalmente c’è poi la questione della laicità richiamata dai signori Albertin e Lautsi, diventata più urgente negli ultimi anni per le note questioni relative all’immigrazione. Un conto è il presepio che si rifà ad una tradizione popolare vecchia di secoli e trasforma la nascita di Gesù in una specie di aggraziata favola per bambini, uno molto diverso è invece la presenza del crocifisso che venne decretata quando, con il Concordato del 1929, l’allora Regno d’Italia s’impegnò a riconoscere che «la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato».