Repubblica 30.12.15
Quella notte di fuoco al Pera Palace di Istanbul
Turchia 1941, due attentati, un intrigo Tedeschi, inglesi e russi
Un mistero ricostruito dallo storico Charles King
di Siegmund Ginzberg
L’obiettivo: spingere Ankara a entrare in guerra o con i nazisti o con gli Alleati
Un particolare della storia colpì Ian Fleming che lo utilizzò in un romanzo di James Bond
La bomba aveva mandato in frantumi la grande cupola di vetro, prodotto un buco dai contorni anneriti nel pavimento. Le foto d’epoca mi ricordano quelle della banca di Piazza Fontana. Erano andati in frantumi anche tutte le finestre e vetrine che davano sulla affollatissima avenue prospiciente, dove passavano i tramvai e i taxi. Tra i morti e feriti gravi si contavano due impiegati dell’ambasciata britannica, i due concierge ebrei dell’albergo, il general manager greco, due agenti in borghese dei servizi segreti turchi, un autista che stava scaricando le valigie dal cofano della sua vettura, e una guardia notturna, entrambi musulmani. L’esplosione nella lussuosa lobby del Pera Palace Hotel di Istanbul era avvenuta alle 21,10 in punto dell’11 marzo 1941. La bomba, anzi le bombe, erano contenute in due distinte valigie arrivate in albergo insieme ai bagagli di una delegazione britannica. L’inchiesta rivelò che le due valigie erano state mescolate a quelle dei diplomatici britannici diretti a Istanbul al momento della loro partenza dalla stazione di Sofia. Degli attentatori, presumibilmente bulgari, non si trovò traccia. Il giudice inquirente turco, essendo «giunto alla conclusione che si trattava di un attentato contro la Legazione britannica, preparato a Sofia da un’organizzazione bulgara o tedesca, e non di un attentato ordito entro i confini turchi o contro interessi turchi», giunse alla bizzarra conclusione che non c’era luogo a procedere, e archiviò il caso.
Un secondo e ancora più clamoroso attentato scosse Ankara nel febbraio del 1942. L’ambasciatore della Germania nazista, Franz Von Papen, stava compiendo la sua abituale passeggiata in compagnia della moglie lungo il ventoso viale prospiciente la sua residenza, quando un uomo imbottito di esplosivo si fece esplodere a pochi metri dalla coppia. L’ambasciatore e sua moglie restarono illesi: lui si era rovinato l’impeccabile vestito di alta sartoria e si era fatto un taglio al ginocchio, lei aveva smagliature alle calze. L’attentatore invece era finito a pezzi. L’inchiesta rivelò che si trattava di un musulmano bosniaco, naturalizzato turco. Gli avevano procurato un revolver, col quale avrebbe dovuto sparare a Von Papen.
E anche una valigetta, spiegandogli che conteneva un ordigno fumogeno che gli avrebbe facilitato la fuga. Invece conteneva un congegno esplosivo. Avrebbe dovuto completare l’attentato nel caso le pallottole non fossero bastate e al tempo stesso eliminare un testimone imbarazzante, l’attentatore. L’uomo, lasciatosi prendere dal panico, si dileguò prima di compiere l’attentato e aveva azionato il congegno in anticipo. Il trucco avrebbe talmente colpito la fantasia di Ian Fleming, il padre di James Bond, da utilizzarlo pari pari in uno dei suoi romanzi.
Von Papen e Berlino accusarono i servizi britannici. Questi misero in giro la voce che i mandanti stavano invece a Berlino: i nazisti ultrà avrebbero deciso di levarsi di torno un concorrente scomodo di Hitler, un moderato cattolico. In base allo stesso ragionamento, altri indicarono il mandante a Mosca. Forse Stalin temeva che gli Alleati occidentali potessero concludere la pace con una Germania più presentabile e un cancelliere diverso da Hitler. Von Papen aveva il profilo perfetto per una simile eventualità.
Tra tutte le piste l’inchiesta dei turchi privilegiò quella russa. Com’era naturale dopo due secoli di guerre e perfidie tra zar e sultani. Seguì un processo contro due diplomatici sovietici accusati di aver reclutato gli attentatori. La Pravda reagì indignata imputando ai turchi di piegarsi agli interessi degli “ambienti fascisti”. Ci furono scambi furibondi, tipo quelli tra Putin ed Erdogan.
Gli americani diedero ragione agli alleati sovietici. L’Emniyet, il servizio segreto turco aveva rivelazioni da un ex ambasciatore cecoslovacco e da un agente sovietico di origine musulmana, passato a loro. A dirigere l’operazione sarebbe stato un diplomatico sovietico di stanza ad Istanbul di nome Naumov. Era l’alias usato da Leonid Eitingon, l’uomo che pochi mesi prima aveva coordinato a Città del Messico l’assassinio di Trockij. Il procuratore turco sostenne che i russi volevano provocare una guerra tra Turchia e Germania. E così prendere due piccioni con una fava: alleggerire il proprio fronte e, al tempo stesso, impadronirsi del Bosforo con la scusa di prestare aiuto ai turchi. Gli imputati negarono, poi confessarono, infine ritrattarono. Furono condannati. Poi rimpatriati nel 1944 come gesto di buona volontà della Turchia verso gli Alleati che ormai stavano vincendo la guerra.
I due attentati, oltre al mistero sui mandanti, avevano un’altra cosa in comune: le concitate manovre, da parte di tutti gli attori in causa, per spingere la Turchia a entrare in guerra a fianco del Reich tedesco, oppure, all’opposto, a fianco degli Alleati. Si sa come andò a finire: la Turchia si destreggiò tra gli uni e gli altri quasi fino alla fine, e si decise a dichiarare guerra alla Germania nazista solo nel febbraio 1945.
Parla diffusamente di entrambi gli episodi l’avvincente Mezzanotte a Istanbul di Charles King (Einaudi: ma il titolo italiano non rende giustizia quanto l’originale Midnight at the Pera Palace alla scelta di ripercorrere la storia di Istanbul nel Novecento attraverso le vicende del più famoso dei suoi grandi alberghi). Accenna invece solo al primo (la bomba al Pera Palace), ma non al secondo (l’attentato ad Ankara) il feuilleton storico di Ayse Kulin
IL SAGGIO Mezzanotte a Istanbul di Charles King ( Einaudi pagg. 424, euro 32)