Corriere 30.12.15
La falsa contrapposizione tra religione e laicità
Dialettica. In una civiltà aperta la libertà di fede e di pensiero è un valore non negoziabile
La democrazia riscopra l’importanza di questo dialogo
di Giuseppe Galasso
Sono sempre più frequenti gli episodi, anche di cronaca quotidiana, che mostrano una laicizzazione del costume italiano impensabile e imprevedibile fino a non molto tempo fa (dai matrimoni civili, ad esempio, e dalle convivenze non regolate da nessuna formalità ai funerali laici in continuo aumento); e più frequenti si sono fatte pure le discussioni al riguardo (fino a quelle sul Natale e il Crocifisso e sull’insegnamento religioso cattolico nelle scuole). Vi sono, però, sottesi a tali questioni, altri loro aspetti perfino più fondamentali, e anche più problematici, che non appaiono altrettanto dibattuti.
Che i fedeli di altre religioni deplorino quel che a essi può apparire come un monopolio cattolico, è comprensibile. L’Italia sconta pur sempre la condizione storica e culturale per cui si giunse nel 1929 al Concordato con la Chiesa cattolica, in parte rivisto nei successivi anni 80. A ogni modo, qualcosa si poteva fare (coi Valdesi si è fatto) per migliorare lo stato delle cose, e si può sempre fare di più. C’è solo da riconoscere che la Francia fu molto più saggia stabilendo già nel 1904 la completa separazione fra Stato e Chiesa (e non si dica che per la Francia il Cattolicesimo rientra nell’identità e tradizione nazionale meno che per l’Italia, perché non è vero; né si dica che, tuttavia, la Francia conosce oggi anch’essa la feroce guerra di un terrorismo religioso, perché questo è del tutto un altro problema).
La questione più importante in questo campo riguarda, comunque, le persone che non professano alcuna fede religiosa. Che cosa le muove? Si è parlato di decristianizzazione, secolarizzazione, laicizzazione e altre simili spinte, proprie (si dice) della società moderna. Non si crede possibile una convinzione e un’etica laica di pari intensità e impegno di una fede religiosa. La secolarizzazione — si dice — porta di per sé a un vuoto di valori analoghi a quelli che per definizione si ritengono intrinseci a una fede religiosa. Sembra tornare la vecchia querelle fra materialismo e spiritualismo. Per alcuni, poi, si tratta di effetti spontanei della marcia trionfale della scienza e della tecnica negli ultimi due o tre secoli, con gli inestimabili miglioramenti che ne sono venuti alle condizioni materiali della vita umana. E si giunge, infine, a distinguere una laicità colta, di grande maturazione interiore e di profondo sentire anche sul piano etico, da una laicità derivante dal semplice trascinamento delle nuove condizioni del vivere in fatto di comfort, di piaceri e di tutti gli altri comodi e vantaggi materiali e civili di una moderna società avanzata: una laicità deteriore fatta di un istintivo edonismo, senza complicazioni problematiche, che per alcuni fa da pendant a una laicità derivante da pessimismo e disperazione e altri fattori negativi dell’esperienza umana e sociale.
È facile, però, osservare che il problema di quest’ultima distinzione si pone pure per l’esperienza religiosa: pigro conformismo e passiva prosecuzione delle tradizioni o autentico e vivo fervore di fede? Allo stesso modo, si deplora che un certo laicismo, diventando ideologia, porti all’integralismo e alla violenza (così, di recente, un teologo e uomo di Chiesa della qualità personale e culturale di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti). Ma si sa che — ideologia o non ideologia — lo stesso si può e si deve dire di vari credo religiosi (e, del resto, la stessa Chiesa cattolica solo da poco più di mezzo secolo dice le cose che dice oggi, e fino alla metà del ‘900 era ancora legata all’idea della crociata, magari difensiva, nonché ad altre idee politiche e sociali).
Non si può dire che di tutto ciò si parli quanto sarebbe augurabile, e non per sciogliere problemi di difficile o impossibile scioglimento, né per predicare una particolare laicità o religione laica, o anche solo per rifiutare la parola d’ordine dell’odierna correttezza politica e culturale circa il dialogo tra fedi religiose diverse e tra laici e religiosi. Anche se, su quest’ultimo punto, occorre pur dire non si è mai capito bene — se non si vuol cadere in improbabili sincretismi di idee e di fedi diverse — in che debba consistere e a che debba portare questo dialogo. Nella civiltà politica della liberal-democrazia moderna non solo la tolleranza, ma la piena libertà di religione e di pensiero è, non da oggi, un punto primario e non negoziabile. Allo stesso modo, la discussione su questo e ogni altro tema — dialogo o non dialogo — è una pratica inveterata delle libere società moderne, che vi ritrovano la maggiore possibilità e il maggiore stimolo ad acquisire quella migliore consapevolezza di sé nel proprio tempo, che è ugualmente necessaria, al di là delle questioni di cui abbiamo accennato, su ogni altro piano, a cominciare da quello dei fondamenti della vita etico-politica.