giovedì 24 dicembre 2015

Repubblica 24.12.15
L’arma di Francesco per la pace nel mondo
Le conclusioni del Sinodo e il Giubileo indicano che cosa il pontefice mette al centro della cristianità. È una vera rivoluzione per realizzare l’incontro con la modernità
Misericordia
di Eugenio Scalfari


Il Sinodo si è chiuso in questi giorni e contemporaneamente si sono aperte le porte delle cattedrali e delle chiese di tutto il mondo cattolico per il Giubileo della Misericordia. Questa parola, misericordia, è stata messa da papa Francesco al centro della vita cristiana. Lo è sempre stata, ma non con questa centralità. Cito le frasi usate in proposito da Francesco perché sono molto significative e, leggendole con la dovuta attenzione, ci fanno comprendere con esattezza il senso del suo pontificato.
«Gesù è la Misericordia fatta carne, cioè rende visibile ai nostri occhi il grande mistero dell’Amore trinitario di Dio. Gesù Cristo è il Dio misericordioso. Anche la necessaria opera di rinnovamento delle istituzioni e delle strutture della Chiesa è un mezzo che deve condurci a fare l’esperienza viva e vivificante della misericordia di Dio. Se dovessimo anche per un solo istante dimenticare la misericordia ogni nostro sforzo sarebbe vano
perché diventeremmo schiavi delle nostre istituzioni e delle nostre strutture, per quanto rinnovate possano essere. Saremo sempre schiavi».
Il 10 dicembre scorso ebbi dal Papa un’inattesa telefonata. Era tornato il giorno prima dal suo viaggio in Africa dove aveva aperto la prima porta del Giubileo. La telefonata cominciò con queste sue parole: «Pronto, sono un rivoluzionario ». Poi mi raccontò la sua esperienza nelle regioni africane che aveva appena visto e dei milioni di fedeli che l’avevano accolto, ma quella parola l’aveva presa da un mio articolo in cui lo designavo così e lui ci si era riconosciuto.
Rivoluzionario va ben oltre la parola riformista e lui lo è e lo spiega quando, nella frase sopra citata, disse che Cristo è il Dio dell’amore e della misericordia e più oltre che se ci scordiamo per un solo istante della misericordia diventeremo schiavi delle istituzioni quand’anche fossero state riformate e rinnovate.
Questo insegnamento non è soltanto religioso, è anche culturale e perfino politico. Non a caso sono molte le persone, non solo nella nostra Italia ma in Europa e in tutto l’Occidente, che giudicano Francesco anche come uno spirito profetico che incide sulla politica, quella alta che si fonda sullo spirito civico e il bene di una Comunità.
I tempi sono tempestosi, chiedono anzi reclamano l’amore verso il prossimo più che verso se stessi, respingono l’indifferenza, sanzionano l’egoismo che ci rende schiavi di noi stessi, del potere, del fondamentalismo e del terrorismo che può derivarne.
La misericordia, da questo punto di vista, è rivoluzionaria, è il perdono, è la carità, è l’amore. Si dovrebbe vivere dell’esperienza del passato, della speranza del futuro e si dovrebbe utilizzare il presente ed ogni suo attimo come momento per mettere in opera la misericordia. È un discorso che vale per tutti, credenti e non credenti.
Viviamo una realtà d’un epoca assai critica. Se dovessi dire in che cosa si distingue dalle altre direi che abbiamo abolito i tempi verbali che descrivevano la nostra vita: ignoriamo e vogliamo ignorare il passato e non siamo in grado di progettare il futuro; il presente lo usiamo per distruggere l’esistente, rottamarlo senza attingere al deposito d’esperienza né alla progettazione del futuro.
Sono sentimenti che stanno prevalendo in Occidente che fu invece, fino ad una trentina d’anni fa, la culla dello storicismo e della progettazione del futuro, fosse liberale o marxista. Si dirà che si tratta di ideologie dando a questa parola un senso negativo che invece non ha: l’ideologia è una semplificazione culturale d’un valore o ideale che si voglia diffondere. Tutto è ideologia, perfino una religione, con la differenza che l’ideologia religiosa pone al vertice una Divinità trascendente mentre un’ideologia laica non pensa ad una trascendenza ma semmai all’immanenza che si esprime col motto di Spinoza «Deus, sive Natura».
Papa Francesco ha la fede e predica la trascendenza, ma la sua rivoluzione misericordiosa vale – ed anche lui lo pensa e lo dice – anche per i non credenti se fanno propria la misericordia. L’amore per se stessi è legittimo purché consideri ed applichi l’amore per gli altri e tanto più intenso è questo tanto più farà bene anche a quello. Un vescovo di Roma che arriva a questa forma di predicazione rivoluzionaria e incide sulle strutture della Chiesa, sulla cultura, sulle coscienze che cercano e vogliono il bene comune e incide, per conseguenza, anche sulla politica, è un evento rarissimo. La Chiesa ha avuto la fortuna di quattro Pontefici che si sono incamminati – pur con le differenze che hanno distinto l’uno dall’altro – sulla medesima strada: Giovanni XXIII che diede inizio al Concilio Vaticano II, Paolo VI che lo portò a termine e poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che cercarono di attuarne le prescrizioni.
Purtroppo questa loro azione non dette molti frutti e il motivo è chiaro: gran parte della Curia fece barriera contro le conclusioni del Concilio, in particolare contro la più importante che incoraggiava la Chiesa a confrontarsi con la modernità, a comprenderla e ad ammodernare la Chiesa stessa.
La lotta fu assai aspra e fu quella che costrinse Ratzinger a dimettersi: aveva ingaggiato quella battaglia ma era troppo debole fisicamente e psicologicamente per affrontarla.
Francesco è proprio questo che vuole: applicare le prescrizioni del Vaticano II e realizzare l’incontro con la modernità. Questa è la sua rivoluzione: fare dell’Occidente secolarizzato il punto di confronto con la Chiesa della Misericordia. Il che comporta una rivoluzione dentro la Chiesa e proprio adesso, con la fine del Sinodo e l’inizio del Giubileo, ha raggiunto il punto massimo di tensione. Qui ci si gioca tutto e Francesco lo sa. Anche noi lo sappiamo. Vogliamo la stessa cosa, combattiamo per la stessa rivoluzione, anche se camminiamo su due strade parallele. Aldo Moro che la sapeva lunga in politica e anche in religione, aveva coniato il motto delle “convergenze parallele”. Parlava di politica ma in certi casi riguarda tutto ciò che ha attinenza con la vita e quindi con l’azione, con il pensiero e con l’autocoscienza libera e consapevole.
***
Una delle differenze tra le persone, le culture, le civiltà, è il modo diverso di pensare. I cloni possono essere studiati nei laboratori ma per fortu- na non esistono in natura. Noi siamo tutti diversi gli uni dagli altri e siamo altresì pieni di contraddizioni nell’interno di noi stessi. Se differenze e contraddizioni oltrepassano un certo limite, si scivola nella guerra con tutto ciò che ne segue. Ma poiché la diversità è insopprimibile bisogna “inculturare” le differenze.
Questa parola, “inculturare”, l’ha usata papa Francesco quando ha rilevato le notevoli differenze tra i vescovi del Sinodo, dovute non soltanto ai diversi modi di pensare ma anche alle profonde diversità dei luoghi dove sono nati e dove svolgono la loro azione pastorale.
Nel messaggio letto alla chiusura del Sinodo ai vescovi di tutto il mondo lì convenuti, Francesco ha detto: «Al di là delle questioni dogmatiche, abbiamo visto che quanto sembra normale ad un vescovo d’un continente può risultare strano e quasi scandaloso per il vescovo d’un altro continente. In realtà le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale definito dalla Chiesa ha bisogno di essere inculturato se vuole essere osservato e applicato. Si tratta insomma del radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane. L’inculturazione non indebolisce i valori perché essi si adattano senza scomparire, anzi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture».
Qui è Francesco il gesuita che utilizza il metodo insegnato dal fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola: conoscere gli altri e costruire con loro un sistema per poter predicare e rafforzare la loro vocazione verso il Bene.
Ma c’è un altro aspetto specificatamente politico oltre che profondamente religioso, che Francesco porta avanti in nome del Dio unico che ispira profondamente il suo pensiero ed è l’affratellamento di tutte le religioni a cominciare dalle tre monoteistiche (ma non soltanto). Francesco affrontò questo tema nella riunione con gli esponenti delle tre religioni, l’ebraica, la musulmana e la cristiana, il 29 ottobre scorso ed elencò vari punti già indicati dal Vaticano II a proposito di quel tema: «La crescente interdipendenza tra i popoli. La ricerca continua di un senso della vita, della sofferenza umana, della morte. La comune origine e il comune destino dell’umanità. L’unicità della famiglia umana. Le religioni come ricerca di Dio all’interno delle vari etnie e culture. La Chiesa è aperta al dialogo con tutti e giudica con stima i credenti di tutte le religioni apprezzando il loro impegno culturale e morale. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato; insieme possiamo lodare il Creatore per averci dato il giardino del mondo da coltivare e custodire come un bene comune. Dio desidera e vuole che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità ». Sono dichiarazioni e indicazioni che vedono il male nel fondamentalismo ed il bene nel procedere come fratelli, non credenti compresi, come Francesco ci tiene spesso a ricordarci. La lotta contro il terrorismo si può fare in tanti modi, con le armi, con il coraggio, con la preghiera. Ma l’approccio del Papa a camminare insieme come fratelli è quello che può avere più ampia rispondenza e più duraturi effetti politici.
Desidero concludere queste osservazioni sull’obiettivo di Francesco da applicare in nome della misericordia le conclusioni del Vaticano II che vuole e deve incontrarsi con la modernità, segnalando un’opera affascinante, condotta da una grande esperta di storia dell’arte, Chiara Frugoni, con un libro intitolato Quale Francesco?
edito dalla Einaudi. La ricerca è effettuata sugli affreschi di Giotto nella chiesa di Assisi, dove si racconta quale sia la figura del santo. Una è quella del fraticello povero e umile tra confratelli altrettanto poveri ed umili; l’altra è d’un Francesco curiale, tra Pontefici, Cardinali e Cavalieri.
Due personaggi, un solo nome. Così è anche oggi: quale Francesco? Le figure giottesche sono magnifiche in entrambe le versioni, con profonde diversità tra loro. La storia del santo di Assisi però ci tramanda un personaggio unico che, dopo essersi pentito d’una giovinezza alquanto agitata e peccatrice, non cambia più: i poveri, la povertà, la debolezza, l’esclusione, sono i requisiti per passare da primi la porta del paradiso, ma anche la fratellanza. Non a caso Francesco aveva ordinato ai suoi frati di vivere anche tra non cristiani, senza liti e senza dispute, ritenendosi fratelli d’ogni creatura di Dio, quale che fosse il suo credo religioso a cominciare dai musulmani. La fratellanza, la misericordia.
Del resto basta leggere il Cantico delle creature. Non è col suo primo verso che papa Francesco ha intitolato la sua prima enciclica?
Buon Natale e buon anno. E che la fratellanza e l’amore del prossimo, la libertà e la giustizia abbiano la meglio su tutto il resto.