mercoledì 23 dicembre 2015

Repubblica 23.12.15
«Non esiste il diritto di nascere sani» risarcimento negato alla bambina Down
La Cassazione boccia il ricorso di una famiglia In gravidanza la sindrome non era stata diagnosticata
Poche settimane fa la Corte aveva deciso in senso opposto: condannato il ginecologo
di Caterina Pasolini


ROMA Non sarà risarcita una bambina lucchese nata con la sindrome di Down. La Corte di Cassazione a sezioni unite ha infatti stabilito che «non esiste un diritto a non nascere se non sani» e questo «mette in scacco il concetto stesso di danno» per chi viene al mondo malato. Ma allo stesso tempo i giudici, invitando a non considerare le persone come semplici oggetti e quindi di minor valore se danneggiati, chiamano indirettamente o in causa lo Stato per invitarlo a garantire assistenza e appoggio alle famiglie che hanno figli disabili.
Una sentenza complessa quella della Cassazione, che arriva dopo altri pronunciamenti di senso opposto che in passato hanno riconosciuto il diritto al risarcimento a bambini nati malati, ai genitori e persino ai fratelli. A pochi giorni di distanza da un’altra decisione della Cassazione che ha visto condannato un ginecologo di Mantova proprio per la nascita di una bambina Down a causa di insufficienti esami diagnostici che non hanno messo i genitori in grado di decidere il da farsi.
A presentare la richiesta di danno, a nome proprio e della loro figlia, una coppia che ha citato l’Asl di Lucca e i primari dei reparti di ginecologia e del laboratorio di analisi. Nonostante gli esami durante la gravidanza, i medici non avevano riscontrato che la bambina fosse affetta dalla sindrome di Down. «Se lo avessi saputo avrei abortito», ha dichiarato la madre prima di rivolgersi alla magistratura. Per la donna è stato disposto un nuovo approfondimento, in modo da chiarire il danno psicologico: sul risarcimento della bambina il no invece è stato immediato e categorico.
Un diniego che arriva dopo lunghe discussioni, che chiamano in causa la legge ma anche l’etica intervenendo su problemi che vedono opinioni opposte e una giurisprudenza divisa, come sottolineato dagli stessi magistrati.
Secondo questa sentenza della Cassazione in primo luogo non esiste il diritto al risarcimento del danno per il bambino nato malato. Anche perché, sottolinea, «di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta».
La Cassazione a Sezioni unite sottolinea che la giurisprudenza favorevole al risarcimento del medico nei confronti del neonato disabile «finisce con l’assegnare al risarcimento un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale». Come dire che il risarcimento sarebbe al posto dell’assistenza e della previdenza sociale, cose che in un Paese civile dovrebbero essere garantite, paiono sottolineare i magistrati.
Nella sua analisi, la Corte, che cita altri casi simili avvenuti all’estero e mette in guardia contro il «rischio di una reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psico-fisica». In altre parole si tratta di un invito a non giudicare l’uomo come un oggetto che vale meno se danneggiato, che viene considerato solo se perfetto.
In Francia in passato venne riconosciuto il diritto ad un figlio disabile di essere risarcito dai genitori per essere stato messo al mondo nonostante l’handicap. Ma dopo quella sentenza la legge fu cambiata in base al fatto che «nessuno può far valere un danno derivante dal solo fatto di esser nato».
Tra i vari motivi secondari per i quali la Corte rifiuta l’idea del risarcimento, si cita la «patrimonializzazione dei sentimenti, in una visione panrisarcitoria dalle prospettive inquietanti».
Le Sezioni unite hanno comunque annullato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che negava il risarcimento ai genitori. La legge 194 sull’aborto riconosce infatti il diritto di interrompere la gravidanza laddove la nascita determini «un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna» ma per attribuire l’eventuale risarcimento del danno occorre provare che la donna avrebbe effettivamente «esercitato la scelta abortiva». Anche, spiegano gli ermellini, approfondendo «lo stato psicologico». Accertamento che i giudici di merito hanno sottovalutato secondo la Cassazione.