Repubblica 2,12.15
Sette secoli di indulgenze simboli e pellegrinaggi
di Agostino Paravicini Bagliani
IL giubileo della Misericordia di Francesco è iltrentesimo, compresi quelli straordinari. In media, uno ogni 25 anni, da l febbraio 1300, quando Bonifacio VIII indisse il primo giubileo cristiano, ritenendo di poter concedere l’indulgenza plenaria a coloro che avrebbero visitato entro l’anno le maggiori basiliche di Roma: San Pietro e San Paolo. Da allora, ogni giubileo viene vissuto a Roma e nella Chiesa cattolica, in contesti diversi tra loro, tra vita locale
e valori universali. Bonifacio VIII avrebbe voluto che i giubilei fossero indetti, come il suo, ogni cento anni, a ogni passaggio di secolo, ma non fu ascoltato. Già nel 1350, riprendendo forse il modello di quello ebraico, un papa di Avignone, Clemente VI, accordò un secondo giubileo a Roma. Anche Francesco segue quel ritmo, a ricordo del 50esimo anniversario della fine del concilio Vaticano II (1962-1965). Sarà una coincidenza, ma 33 anni separano il 2016 dal 1983, anno in cui Giovanni Paolo II indisse un giubileo per commemorare — 50anni dopo — quello del 1933, calcato sugli anni della vita di Cristo.
Di fatto, la stragrande maggioranza dei giubilei è stata indetta secondo un ritmo di 25 anni, con un’importante interruzione, involontaria, tra il 1825 e il 1925. In quel secolo vi fu un solo giubileo, nel 1875, peraltro così riservato e modesto da essere definito «silenzioso». Cinque anni prima, la breccia di Porta Pia aveva sferrato un colpo mortale al potere temporale dei papi che vissero autoreclusi in Vaticano per più di 50 anni, fino ai Patti Lateranensi (1929). Quando, il 24 dicembre 1874, Pio IX aprì la Porta Santa, nella basilica di San Pietro si sentì gridare «Evviva re Umberto!».
Civiltà Cattolica scrisse che «dai tempi di Bonifacio VIII in qua» non si era mai visto un giubileo svolto «tra tante calamità religiose e ansietà civili». Molti pellegrini giunsero dagli Stati Uniti, Messico, Australia: mai prima di allora, pellegrini erano venuti a Roma in treno per un anno santo.
Nel 1925 — l’Europa usciva dalla Prima Guerra mondiale — il giubileo fu percepito come rara occasione di pacificazione. Il Times di Londra scrisse (27 dicembre 1924) che se «La maggior parte di noi non appartiene alla confessione cattolica... con il Papa possiamo pregare per la pace e per la buona volontà». Enorme l’afflusso dei pellegrini (tra i 400 e i 600mila),« dall’Islanda al Capo di Buona Speranza», come ebbe a dire lo stesso pontefice .
Anche il giubileo del 1950 si tenne a ridosso di una Guerra mondiale, la seconda e fu la prima vera occasione di grande mo- bilità in Europa. Più di un milione e mezzo di italiani fecero il viaggio a Roma, quasi 600 mila dall’Europa, 60mila dalle Americhe. Assenti i pellegrini dei Paesi comunisti dell’Est europeo. La basilica e la piazza di San Pietro accolsero folle mai viste prima di allora. Papa Pacelli proclamò il dogma dell’Assunzione di Maria Vergine. De Gasperi confidò allora a Andreotti le sue incertezze su tale opportunità.
Il successo popolare fu ancora più spettacolare nel 2000, giubileo che Giovanni Paolo II rese universale anche compiendo viaggi simbolicamente importanti, soprattutto quello in Palestina e Israele. Il 22 marzo incontrò a Betlemme Yasser Arafat. Qualche giorno prima, a Roma, Woytila chiese ufficialmente perdono per le colpe della Chiesa — il processo di Galileo, la repressione degli eretici e così via. Alla fine del suo discorso, nella basilica vaticana, vi fu un silenzio profondo.
Ma a Roma il giubileo fu spesso segnato da eventi tragici. Tranne i primi due, fino al 1450 tutti gli anni santi furono colpiti dalla peste. Nel 1390, Roma contava non più di 25mila abitanti. Dopo la Pentecoste scoppiò la peste e il papa fuggì a Rieti con la Curia. Nel 1450 si intensificarono invece le processioni. Niccolò V diede ordine che l’icona della Veronica, venerata a San Pietro, fosse mostrata ogni domenica.
Fu ritenuto un miracolo che nel 1575 Roma «non sentì per divina misericordia minima infezione ». Nella sola Messina le vittime furono decine di migliaia. A dieci anni dalla fine del concilio di Trento (1545-1563), una sorta di trionfo celebrato però in un clima volutamente devozionale. Signore dell’aristocrazia «vestite di seta, et d’oro, et di gemme ornate» lavavano i piedi a umili pellegrine sconosciute.
Anche i due precedenti giubilei del Cinquecento furono celebrati a ridosso di eventi straordinari. Il 31 ottobre 1517 Lutero aveva affisso le sue celebri tesi sul portone della chiesa del castello di Wittenberg. Il giubileo del 1525 fu il primo in un’Europa cristiana divisa. La Veronica di San Pietro fu allora mostrata al pubblico per l’ultima volta. Due anni dopo, nella notte tra il 6 e il 7 maggio 1527, i Lanzichenecchi di Carlo V penetrarono nell’Urbe saccheggiando reliquie e tesori. Fu un pellegrinaggio alla rovescia. Le teste degli apostoli servirono per «gioare a palla». Secondo il cardinale Giovanni Salviati, la Veronica sarebbe stata bruciata. Il fatto è controverso, ma nel 1550 si dovette comunque ricostituire un tesoro di reliquie e oggetti liturgici, in gran parte .
I giubilei hanno anche contribuito ad abbellire Roma. Nel 1650 fu terminata in piazza Navona la fontana dei Fiumi che Innocenzo X Pamphili aveva affidato prima a Borromini poi a Bernini. Nel 1675, piazza del Popolo fu rinnovata con la costruzione di Santa Maria di Montesanto e Santa Maria dei Miracoli. Nel 1725 si pose fine alla Scalinata di Trinità dei Monti. Tracce urbane eccezionali, irripetibili, che ci ricordano però come i giubilei abbiano impresso nel corso dei secoli su Roma segni di spiritualità e di idealità, urbani e universali insieme.