Repubblica 17.12.15
Irrational Man
Il tributo di Woody a Gide, Arendt Dostoevskij e Sartre
di Roberto Nepoti
ULTIMAMENTE Woody Allen sembra in difficoltà a provare simpatia per i suoi protagonisti. Se a Cate Blanchett, nel “title role” di Blue Jasmine, non risparmiava nulla, anche l’eponimo Irrational Man del film presentato quest’anno a Cannes è vittima di una demolizione perpetrata, quasi scientificamente, sotto l’insegna del cinismo. Abe Lucas, professore di filosofia, arriva all’università di Newport preceduto dalla fama d’intellettuale impegnato e affascinante; in realtà è un uomo frustrato, alcolizzato e depressivo, perseguitato dalla fatica di esistere. Mentre cerca di scrivere un saggio su Heidegger e il fascismo, senza crederci affatto, Abe si ritrova coinvolto in due relazioni: una con la collega Rita Richards, donna dal matrimonio disastrato; l’altra con la più promettente delle sue studentesse, Jill Pollard, della quale vorrebbe esser solo amico. A far precipitare la situazione interviene il caso (come spesso in Allen: vedi Match Point), lasciando origliare dal professore, in un ristorante, una conversazione riguardante una donna, un giudice e il caso di affidamento di un minore. Abe vi intravede una possibilità di riscatto; anche al prezzo di commettere un crimine e un misfatto. Lui lo concepisce come un atto di giustizia mentre è dettato, in realtà, da un estremo egoismo; oltreché, probabilmente, dalla voglia di recuperare il desiderio sessuale. Il gusto della vita, in ogni caso, avrà come prezzo l’espulsione dalla vita di un altro; e per di più un estraneo. Salvo che Jill, la studentessa innamorata, scopre l’accaduto e, contemporaneamente, comprende di aver conservato i suoi valori morali malgrado la fascinazione per il prof pittorescamente “immoralista”.
Film molto intellettualizzato, tributario della letteratura russa e costellato d’interrogativi filosofico-metafisici (è bagnato nel nichilismo dell’“atto gratuito” alla Gide, con citazioni varie della Arendt, Dostoevskij, Sartre), Irrational Man ha un inizio promettente; poi vira su un triangolo amoroso, quindi su un intrigo di delitto ma senza mai generare vere sorprese; finché, verso la fine, gira intorno a se stesso, prima di incappare in un epilogo davvero inadeguato. Meno caustico, ma anche meno pietoso, di quanto lo sia stato con Jasmine, Woody tratta il suo personaggio di falso romantico con un’insolita severità. Lo spettatore potrà interrogarsi sul proprio livello di moralità a seconda dell’identificazione, o repulsione, che prova per lui; e certamente il carisma “cool” di Joaquin Phoenix, dalla non-recitazione perfetta per il ruolo, stimola malgrado tutto momenti di simpatia. Però la condanna impartitagli dal regista è senza appello.
Diversamente da quanto fa con lui, il regista riserva tutta la simpatia al personaggio della ragazza, affidato alla sua nuova musa Emma Stone.
È sempre spiacevole etichettare il film di un regista amato e stimato come “opera minore”; ma bisogna pur ammettere che questo, pur farcito di tutti i leitmotiv prediletti di Allen, non aggiunge nulla al suo cinema. Che tuttavia, al ritmo di un film per anno, potrebbe riservarci ancora delle belle sorprese.