martedì 15 dicembre 2015

Repubblica 15.12.15
Salvator Rosa, l’artista che odiava i mecenati
di Tomaso Montanari


Una monumentale monografia rende giustizia a un pittore così libero da ritrarre cardinali e principi come maiali e volpi
La monumentale monografia di Caterina Volpi ( Salvator Rosa “ pittore famoso”, 1615- 1673, Ugo Bozzi editore) ritesse le complesse vicende biografiche di Salvator Rosa e ne mette in ordine gli oltre trecento quadri. In un’epoca come la nostra, la complessità irriducibile della vita e dell’opera di Rosa è un antidoto prezioso: perché contraddice moltissime delle semplificazioni attraverso le quali guardiamo pigramente al passato, e dunque al presente.
Rosa fu un artista quintessenzialmente napoletano, ma — come dimostra la Volpi — la sua figura è incomprensibile senza conoscere a fondo le vicende figurative e intellettuali di Roma e di Firenze, cui fu legatissimo, in una parabola compiutamente italiana. Profondamente insofferente nei confronti del sistema del mecenatismo (osò raffigurare principi e cardinali come volpi e maiali su cui una Fortuna ingiusta e distratta rovesciava onori e tesori), Salvatore cercò la sua libertà nel mercato: sperimentando, tuttavia, una costrizione non meno dolorosa.
In una società ossessionata dal lusso, egli ostentò un mirabile disprezzo per la ricchezza: ma non rinunciò a combattere su quel terreno, pretendendo (e ottenendo) che la sua virtù fosse misurata anche con il metro del denaro.
Era tempo che qualcuno si preoccupasse di restituirci la possibilità di vedere tutta insieme l’opera di Rosa, e con illustrazioni tanto splendide: permettendoci così di constatare come a vette pittoriche commoventi si accompagnino quadri meno riusciti, e perfino opere che testimoniano autentiche crisi, e dichiarati fallimenti. Rosa, insomma è relativo, non assoluto. E anche in questo egli ci giova: perché — come ha scritto Roberto Longhi — «s’è già troppo sofferto del mito di artisti divini e divinissimi, invece che semplicemente umani».
Anche i fallimenti di Rosa, anche le sue disperazioni artistiche e umane, sono intrise di senso morale e di una profondissima aspirazione alla libertà intellettuale: ed è questo a farcelo sentire straordinariamente prossimo. Mette i brividi la lettera con cui — rivolgendosi nel 1656 a Giovan Battista Ricciardi, il più grande amico della sua vita — Rosa trafigge l’Inquisizione romana con parole che ciascuno di noi può mentalmente riferire ad ogni truce ortodossia, alla violenza di ogni conformismo di oggi: «E tutto questo nasce per timore di non incorrere in qualche disgrazia di carcere, in qualche becco fottuto di spia di Sant’Offitio, che sia maledetta per mille volte l’anima di quello che l’inventò e io, come un bellissimo viso di fava, me ne sto instolidito in guisa che non so donde mi sia, rinegando e bestemiando chi ci introdusse nell’anima tanta paura, e chi trovò tante clausole e vincoli sopra le nostre coscienze, che maledetto sia per tutti i secoli de’ secoli. Cazzo: almeno sapessi che veramente fusse così come me la contano questi quattro sbirri borricelli delle nostre coscienze, che, facendo loro quello che più l’agrada, vogliono che noi non facciamo quello che più ci piace». Parole che rendono ben chiaro il rapporto che lega i quadri di Salvator Rosa alla nostra libertà.
Salvator Rosa di C. Volpe ( Ugo Bozzi, pagg. 685, euro 260). Sopra S. Rosa, Paesaggio con derelitti