sabato 12 dicembre 2015

Repubblica 12.12.15
Il caos giustizia
di Gianluigi Pellegrino


DA QUI a fine mese la giustizia rischia di trovarsi nel caos totale. Ben maggiore del solito. E il ministro Orlando lo ha denunciato. Una riforma che era ormai attuata rischia infatti l’improvviso azzeramento per un parere di poche righe emesso da una sezione consultiva del Consiglio di Stato, contro plurimi precedenti delle più attente sezioni giurisdizionali di Palazzo Spada. La riforma è quella fortemente voluta dal Governo relativa al ricambio generazionale pure in magistratura. Per controversa che fosse almeno era pronta per entrare in vigore. Si tratta molto semplicemente dell’abolizione di una delle tante norme ad personam forgiate dall’ineffabile Berlusconi. Nel 2002 infatti da Palazzo Chigi il cavaliere, nel trasparente, quanto vano, tentativo di ingraziarsi gli allora vertici della Cassazione che dovevano decidere sulla pretesa di sottrarre a Milano i suoi processi, infilò nel calderone di una finanziaria il codicillo che consentiva ai magistrati di rinviare la pensione rimanendo in carica fino a 75 anni, in difformità da quello che avviene nella gran parte dei paesi europei.
E così nel 2014 il nuovo governo in uno dei suoi primi provvedimenti di auspicata ripartenza del paese, ha abolito la deroga. La decisione se mai peccava di qualche difetto di gradualità tant’è che si concordò una proroga per abbattere i rischi di vuoti di organico e consentire all’organo di autogoverno lo svolgimento delle procedure per la sostituzione dei pensionandi.
Questo è avvenuto. Con grande impegno del Csm, tra le consuete agitazioni correntizie e la difficoltà di far digerire ai giudici più anziani una norma per loro chiaramente indigesta, decine di concorsi sono stati effettuati. Ovviamente magistrati che vi hanno partecipato hanno dovuto rinunciare a candidarsi ad altri incarichi; e così via. Insomma si era pronti, almeno per questa piccola novità, a metterla in pratica. Ognuno certo rimaneva delle sue idee. Chi apprezza lo svecchiamento, chi lamenta un qualche eccessivo cedimento ad un messaggio giovanilista. E però per una volta, tutti si concordava che “cosa fatta capo a”.
Troppo facile. Perché come ogni buon colpo di scena, arriva venerdì la bomba di una decisione della seconda sezione consultiva presso il Consiglio di Stato che prima ancora di garantire il contraddittorio al Ministero ha espresso avviso che non se ne faccia nulla e che i pensionandi ricorrenti debbano invece, per ora, restare in carica.
Se ciò venisse davvero attuato le ripercussioni sarebbero a valanga: paralisi di concorsi già espletati, compromissione di tutte le altre procedure dove risulterebbe viziata la platea dei concorrenti. E addio allo sbandierato ricambio. Incertezza assoluta su chi e per quanto debba decidere questa o quella causa. Insomma una gran caos proprio ai vertici della magistratura, in ogni Procura e in ogni Corte d’appello. Per non parlare delle somme e delle risorse umane spese inutilmente.
La soluzione c’è ma si deve essere rapidi e determinati nel volerla.
E infatti proprio per insegnamento dello stesso Consiglio di Stato i pareri sulle istanze cautelari emessi nell’ambito dei cosiddetti ricorsi straordinari non sono per nulla efficaci se assunti senza previo ascolto delle ragioni del ministero. Quindi, nel caso, il dicastero della giustizia può e deve rifiutare l’emissione del decreto che dovrebbe dare vigore alla sospensiva. Nel frattempo anche una sola delle parti interessate può chiedere che le cause siano trattate nelle ordinarie aule giudiziarie a cominciare da quelle dei Tar che già in più occasioni hanno respinto analoghe istanze che volevano fermare la riforma; come pure hanno fatto le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con pronunce attente alla forza della legge che dovrebbe essere rispettata da tutti.
In questo modo il caos sarebbe evitato, concorsi e ricambi sarebbero salvi e al 31 dicembre vedremmo almeno un piccolo cambiamento attuato.
Del resto c’è un principio da riaffermare. In uno stato di diritto tutti, anche i giudici, sono soggetti alla legge. E quindi anche alle piccole o grandi riforme; soprattutto se li riguardano. Sono pure liberi di criticarle e sollevare ipotesi di incostituzionalità, ma devono rimetterne l’esame alla Consulta, giammai disapplicarle sostituendosi agli apprezzamenti che il legislatore ha compiuto. Altrimenti salta ogni sistema, proprio a cominciare da chi della forza della norma, uguale per tutti, dovrebbe essere il custode.