giovedì 10 dicembre 2015

Repubblica 10.12.15
“L’allarme attentati pesa sul Giubileo Inconcepibili le cose emerse da Vatileaks”
Il cardinale Ruini: “È inappropriato il paragone con l’Anno Santo di Wojtyla che fu preceduto da un lungo cammino”
di Paolo Rodari


CITTÀ DEL VATICANO Per l’ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, non è un caso che «la misericordia sia al centro del pontificato di Francesco. C’è un motivo — dice — che ha a che fare con la sua persona e la sua spiritualità. Ma c’è anche un altro motivo: molto semplicemente, la misericordia è il centro del cristianesimo; il messaggio di Gesù di Nazaret è anzitutto la lieta novella di Dio che viene come nostro salvatore mosso dall’infinita bontà e misericordia che è egli stesso».
Eminenza, Francesco, aprendo la porta santa, ha detto che la Chiesa deve anteporre la misericordia al giudizio. Secondo lei è giusto insistere solo sulla misericordia?
«Non è vero che Papa Francesco insista solo sulla misericordia. La misericordia, però, ha la precedenza, in tutta la tradizione biblica e anche nella teologia. Ad esempio, san Tommaso dice che misericordia e giustizia sono inseparabili, che la misericordia è la perfezione della giustizia e che la misericordia viene sempre per prima, dato che alla base di ogni rapporto con Dio e tra noi c’è il dono gratuito che Dio ci ha fatto, anzitutto creandoci e poi salvandoci».
Il Papa ha anche ricordato il Concilio, un «incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche». Queste secche secondo lei esistono ancora?
«Il Concilio è stato un grande tentativo di ristabilire un rapporto positivo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Paolo VI, a dieci anni dalla chiusura del Concilio, diceva che le finalità del Concilio possono riassumersi in una sola: rendere la Chiesa del ventesimo secolo più idonea ad annunciare il Vangelo all’umanità del ventesimo secolo. Questa intenzione ha dominato il pontificato di Giovanni Paolo II, che parlava di “nuova evangelizzazione”, e poi di Benedetto XVI, ciascuno naturalmente con il suo stile e il suo approccio. Delle secche, tuttavia, ci saranno sempre e di volta in volta bisogna cercare di uscirne. Per onestà intellettuale devo aggiungere che anche prima del Concilio c’era nella Chiesa un grande slancio missionario, che non può mai mancare perché la chiesa è missionaria per sua natura».
L’apertura del Giubileo è stata segnata anche dalla paura. L’impressione, vedendo la piazza piena ma non stracolma, è che tanta gente abbia avuto paura a scendere in piazza. C’è chi ha paragonato la piazza di ieri alle folle oceaniche del Giubileo del 2000. È giusto fare questo paragone?
«Il paragone non è appropriato per molte ragioni: anzitutto quella ovvia che allora non c’era il timore degli attentati. Ma non dimentichiamo che quello era il Grande Giubileo, dell’anno 2000, e che era stato preparato attraverso un lungo cammino, segnato in particolare dalla lettera di Giovanni Paolo II “Tertio Millennio Adveniente”: un cammino durato anni e che aveva coinvolto la pastorale della Chiesa intera».
Per molti dopo il tempo della Chiesa identitaria, che ha avuto anche in lei — con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — uno dei principali protagonisti, è iniziato un nuovo tempo, più spirituale, meno pubblico.
Condivide questo pensiero?
«È iniziato certamente un tempo nuovo e le valutazioni e i confronti sono comprensibili e legittime. Personalmente vorrei solo dire che anche con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la dimensione spirituale era centrale e decisiva».
Il Giubileo si è aperto con i due Papi che sono entrati insieme nella porta santa. Per alcuni osservatori c’è una dicotomia fra i due pontificati. Lei che giudizio ha?
«Sinceramente non vedo delle dicotomie, ma delle differenze che sono fisiologiche: ogni Papa ha una sua sensibilità e una sua storia, e proprio così porta il suo personale contributo».
La Chiesa è scossa anche da Vatileaks. I documenti trafugati mostrano cose che oggettivamente non vanno. L’impressione è di una curia non del tutto allineata alla volontà di riforma del Papa. E anche di cardinali che alla povertà evangelica preferiscono altro. Perché secondo lei?
«Purtroppo ci sono cose che davvero non vanno. Direi di più: che risultano inconcepibili. Non ne farei però una questione di allineamento o meno della curia romana alla volontà di riforma del Papa: evitare certi comportamenti è richiesto da un minimo di senso morale, prima che da volontà di riforma».