La Stampa TTS 9.12.15
Perché avere paura della paura?
È lei che ci ha reso forti, quasi invincibili
Van der Kolk, tra i massimi esperti di stress: “Per ogni trauma c’è una via d’uscita”
di Marco Pivato
Come nel mondo animale, anche nell’Homo sapiens l’evoluzione ha sviluppato un istinto di sopravvivenza: e non è solo utile all’individuo, ma alla specie stessa ed è per questo che i traumi ci «mettono in guardia» da minacce arcaiche e che lo scoppio di emozioni violente cerca di metterci al riparo da un passato da dimenticare, eppure indimenticabile.
«Non è necessario - sostiene l’olandese Bessel van der Kolk, già professore di Psichiatria alla Boston University School of Medicine - essere un soldato reduce da vicende inenarrabili o visitare un campo di rifugiati in Siria per imbattersi nel trauma». Ecco perché figli di madri depresse possono crescere depressi e ansiosi e donne che hanno subìto abusi in famiglia possono non lasciarsi mai amare ed ecco perché infanzie trascorse in contesti violenti forgiano adulti incapaci di stabilire relazioni fiduciose.
Evolutivamente, il senso del trauma - sempre più in primo piano in tempi di terrorismo globale - fa parte dell’uomo: è un organo virtuale, cresciuto nell’ambiente che abbiamo frequentato per centinaia di migliaia di anni. E allora, a volte, ci inganna, quando accende delle sirene di fronte a situazioni inoffensive, ma che rimandano a vissuti negativi non completamente elaborati: è ciò che Van der Kolk chiama l’«insostenibile pesantezza del ricordare».
In questa fragilità, però, c’è un vantaggio: il ricordo violento è il prezzo che l’uomo paga per la sua resilienza, vale a dire la capacità di reagire a eventi nefasti, ripensando la vita dinanzi a difficoltà impreviste e ricostruendo se stesso, sapendo riconoscere le opportunità. «È senz’altro vero che l’uomo è esposto a ciò che chiamiamo “stress post-traumatico”, un insieme di reazioni insostenibili innescate da un passato non cicatrizzato, ma - precisa Van der Kolk -, se la storia dell’uomo non fosse stata questa, oggi sarebbe incapace di adattarsi, individuando vantaggi e opportunità».
Nel suo nuovo saggio «Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche», edito da Raffaello Cortina, lo psichiatra indaga la ragione esistenziale di questo «Giano bifronte» che è la paura: è generata da traumi che àncorano al remoto e che si ripetono, diventando teatri interiori ricorrenti, ma che rafforzano anche la specie nell’ottica di un futuro che dovrà affrontare per sopravvivere. «Nei secoli - osserva Van der Kolk - siamo tornati alla normalità dopo guerre implacabili, disastri di proporzioni enormi (sia naturali sia perpetrati per mano dell’uomo) e dopo violenze e tradimenti vissuti nel corso delle nostre esistenze».
Il dibattito sul significato dei vissuti che diventano traumi inizia dai tempi di Freud e da allora non si è più arrestato. Oggi, però, è sostanziato dalle neuroscienze, che alle ipotesi affiancano i test. Le tecnologie che fotografano il cervello in azione - dalla Pet alla fMRI - riescono a darci una misura dell’anello mente-corpo, chiarendo la relazione tra vissuto psichico e vissuto organico. Siamo tuttavia lontani dall’avere capito sistematicamente la neurochimica: l’equilibrio tra neurotrasmettitori ed emozioni, pur stabilito nelle parti essenziali, è un abbozzo. Gli stessi farmaci che agiscono sul sistema nervoso, come antidepressivi e antipsicotici, non hanno mai realizzato alcuna rivoluzione nella psichiatria.
Ma Van der Kolk, tra i maggiori esperti di stress post-traumatico e fondatore del «Trauma Center» di Brookline, Massachusetts, taglia corto: «Dobbiamo fare i conti con quello che conosciamo e quello che conosciamo sui traumi è abbastanza per tracciare una direzione alla ricerca, nondimeno alla consapevolezza che abbiamo di noi stessi». E spiega: «Non si guarisce da un anno in guerra o da uno stupro, ma possiamo studiare le tracce del trauma, riconoscerle e convivere con ciò che fa parte di noi. Certo, ci ha indebolito, ma, se lo accettiamo, ci dà la speranza di appropriarci del nostro sé: è ciò che definisco “guarire dal trauma”».
Gli effetti di un trauma possono «alterare il sistema immunitario e generare malattie autoimmuni; paralizzare i muscoli e bloccare il respiro; produrre lesioni senza aggressioni fisiche: questo siamo noi e questo - conclude - è un insieme di conoscenze che fa luce sul mistero della biologia e del perché siamo animali così forti, capaci di sopravvivere alle esperienze più atroci».