lunedì 7 dicembre 2015

La Stampa 7.12.15
La politica Usa condizionata dalle ideologie contrapposte
di Paolo Mastrolilli


La politica americana, ma potremmo dire in generale la democrazia liberale, è diventata un gioco al massacro ideologico che porta solo alla paralisi. Ormai è così asserragliata lungo le trincee partitiche, che non ragiona più su nulla.

Ogni volta che capita qualcosa, riguardo qualunque tema, i due schieramenti prendono posizioni automatiche, prevedibili e inconciliabili. C’è la strage a San Bernardino? I democratici sperano che non sia terrorismo e dicono che bisogna limitare le armi; i repubblicani rispondono che è terrorismo e bisogna combattere il radicalismo islamico. C’è il riscaldamento globale? I democratici dicono che è necessario tagliare le emissioni, i repubblicani che è tutta una invenzione. C’è la crisi economica? I democratici dicono che lo stato deve investire per stimolare la ripresa, i repubblicani che deve tagliare le tasse. Si boicottano a vicenda e non succede nulla di concreto.
Non capita mai che si ragioni sull’evidenza dei fatti, e si cerchi di prendere le iniziative più sensate per il bene del paese. Nel caso di San Bernardino, ad esempio, ogni persona di buon senso sa che valgono entrambi gli argomenti: c’è il terrorismo, che va sconfitto, ma se non ci fossero in giro tante armi magari avverrebbe qualche strage in meno. I politici americani però, prigionieri delle lobby che li finanziano, non hanno la libertà di fare simili ragionamenti, pena il rischio di non essere rieletti. La politica come l’arte del possibile, del dialogo e del compromesso, è morta. Le elezioni servono solo a determinare chi ha vinto, non chi governerà. Appena si chiudono le urne il risultato viene archiviato, e lo scopo dell’opposizione non diventa più quello di esercitare le sue giuste prerogative costituzionali di equilibrio, controllo, anche critica, ma solo quello di paralizzare il governo, come aveva apertamente ammesso l’attuale leader repubblicano del Senato Mitch McConnell, subito dopo l’elezione di Obama. Lo stesso era avvenuto con Bush, anche se la sua eredità politica è una guerra che ha acceso la miccia dell’instabilità mediorientale, e la più grave crisi economica dalla Grande Depressione. Critiche analoghe possono essere rivolte ora ad Obama, ma non è questo il punto. Un tempo succedeva che si mediasse. Persino Bill Clinton e Newt Gingrich lo avevano fatto, quando riformarono il welfare americano. Ora non più, mai.
Per fortuna gli Usa continuano ad essere il paese della libertà di iniziativa, e quindi i cittadini, gli imprenditori, gli innovatori, i filantropi, vanno comunque avanti per la loro strada e costruiscono il progresso. La politica, però, nel migliore dei casi è una nullità da ignorare, e nel peggiore un ostacolo. L’America va avanti nonostante la politica, non grazie a lei.
Lo spartiacque storico probabilmente è stato l’impeachment di Clinton: da quel momento in poi, nulla è stato più come prima. Le ragioni del più recente inasprimento sono molte: gli attacchi dell’11 settembre, il terrorismo, le guerre che durano ormai da 14 anni e hanno fatto migliaia di vittime; la crisi economica, che ha rovinato milioni di vite, accompagnata dalla diseguaglianza e lo smaccato benessere dei più ricchi; la corruzione, particolarmente evidente nel sistema dei finanziamenti elettorali; anche il boom della tecnologia digitale e dei social, che hanno aumentato molto l’informazione, ma anche gli spazi in cui ognuno può dare libero sfogo agli istinti meno nobili. Ora, ad esempio, l’obiettivo della polemica è la correttezza politica, come se l’insulto libero aiutasse a risolvere i problemi meglio della riflessione.
Non può stupire, in un clima così, che Donald Trump guidi nei sondaggi i candidati repubblicani alla Casa Bianca: parla alla base del partito, e intercetta un sentimento di scontento diffuso, che tra i democratici si è incarnato nella popolarità almeno iniziale di Bernie Sanders. L’Europa e l’Italia, peraltro, non sono diverse, come dimostrano alcune recenti elezioni, e questo autorizza ad allargare il discorso alla crisi generale della democrazia liberale, che fatica a rappresentare i cittadini e risolvere i loro problemi. Non sono i cittadini, però, ad avere torto. Se sono risentiti, tocca alla politica di uscire dalla sua bolla, capire, e rispondere.