La Stampa 7.12.15
Vietare o no la maternità surrogata?
L’appello che divide femministe e gay
Senonoraquando scrive all’Ue: va fermata. Gli omosessuali: attacco alle unioni civili
di Antonella Rampino
A quali bisogni o desideri risponde la maternità surrogata? Perché esiste ed è normata in paesi civilissimi come l’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Canada? La genitorialità è genetica, come riconoscono quei Paesi, o madre è solo chi partorisce, come nel vecchio codice italiano? Può uno Stato liberale impedire a una donna che è nata senza l’utero di ricorrere a un’altra donna, consenziente? Perché alcune coppie, e sono soprattutto etero, vogliono avere dei figli che abbiano almeno una porzione del loro genoma? Il dna assicura maggiore genitorialità dell’amore? La natura è superiore alla cultura? Quand’è che le più avanzate tecniche riproduttive diventano abominio? Se il corpo appartiene solo all’individuo, si può impedire a una donna di farne quel che crede gridandole «non sei un forno»? Che cosa accadrà, e che ne sarà delle polemiche dell’oggi, quando la scienza, che già è giunta alla sintesi in vitro dello spermatozoo, arriverà all’utero artificiale? Ci sono questioni che sono punti interrogativi messi in fila, questioni delicate e complesse sulle quali invece capita che in Italia si usi il ponte levatoio, come se bastasse proibire per risolvere.
Il caso è quello dell’appello all’Europa (la culla dei diritti...) di Senonoraquando per vietare la maternità surrogata. Le femministe che gridavano «l’utero è mio» e adesso vogliono imporne il (non) uso ad altre donne, contro i gay che fiutano il tempismo di un ulteriore attacco ai già pallidi diritti della legge sulle unioni civili. Una rissa da pianerottolo italiano? In realtà si tratta di «alcune femministe», come ha notato la giornalista e scrittrice Chiara Calace, poiché in effetti tra le firme vi sono molti bei nomi del mondo dello spettacolo, e si sa che le star ricorrono alla pratica per non ricorrere poi alla chirurgia plastica: Cinecittà contro Hollywood? Chissà. Una femminista storica, come Bia Sarasini già direttore di «Noi donne», racconta invece di aver fatto lunghe riunioni con le associazioni arcobaleno e di aver visto «non solo desideri che pretendono di diventar diritti, ma molto dolore, per questo non serve proibire, occorre cercare una strada».
Una sociologa della famiglia del calibro di Chiara Saraceno ha rifiutato di firmare l’appello, «strumentale per tempi e modi, e capace di dividere gay e lesbiche», e di aver invitato a riflettere su quello che è «un problema aperto, non chiuso: anch’io sono contraria ad atti mercantili, ma la solidarietà esiste e, chiarito che un bambino e il corpo di una donna non si vendono e non si comprano, ci sono molte strade possibili». E anche già percorse, come in Inghilterra dove non c’è mercimonio ma un rimborso spese, ed è sempre la madre - l’utero in affitto - ad avere l’ultima parola.
«Normare è sempre preferibile a proibire». È netto Giuseppe Tesauro, presidente emerito della Corte Costituzionale e relatore delle sentenze che hanno cancellato i proibizionismi della legge 40. «Vietare è facile, ma la maternità surrogata risponde a sentimenti non facili da tenere a freno, ed è proibirla che apre le porte a rivolgersi all’estero con discriminazioni di censo. Normare invece permette di controllare, di non passare dai termini giuridici a quelli affaristici: se c’è un diritto, in campo entra il sistema sanitario nazionale». E si evita di andare in quei paesi, come l’India, l’Ucraina, il Nepal dove si verifica invece lo sfruttamento delle «fattrici»: donne in condizioni di povertà, da questo indotte all’utero in affitto, e non protette dalle leggi. «Fantapolitica, per l’Italia», si scoraggia lo storico della medicina Gilberto Corbellini. «In un paese a forte tradizione cattolica i figli sono natura, creazione di Dio, non si fanno se non in modo naturale e quindi divino. La maternità surrogata esiste non a caso da un quarto di secolo nei paesi protestanti, che hanno accettato e accompagnato le complessità. Capisco che possa non piacere, ma di qui a proibire ad altri quello che non piace a noi stessi...».
Non normando tutte le possibilità restano aperte, ma solo per chi può permetterselo. Finchè non arriverà l’utero artificiale. «Quello, la morale di matrice cattolica e la Chiesa potrebbero accettarlo, come hanno fatto alla fine con la contraccezione e perfino l’aborto». Ma chissà se l’accetterà il femminismo postmoderno all’italiana.