La Stampa 7.12.15
L’espiazione di monsignor Balda
“Cinque anni in un monastero”
Entra nel vivo il processo Vatileaks 2. Il Papa può intervenire in ogni momento
di Giacomo Galeazzi
Domani il Papa apre la Porta Santa, stamattina nel tribunale vaticano riprende il processo per la fuga dei documenti riservati sulle «sacre finanze».
Solitudine e preghiere
Saranno interrogati monsignor Lucio Vallejo Balda (detenuto da 5 settimane) e la sua ex collaboratrice Francesca Chaouqui. Nella prossime udienze deporranno gli altri tre imputati: Nicola Maio (segretario del prelato) e gli autori dei libri in cui sono pubblicate le carte trafugate, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. Oggi, dunque, Vatileaks 2 entra nel vivo della fase dibattimentale con gli interrogatori dei due ex componenti della commissione Cosea accusati, in concorso con Maio, di aver passato carte ai giornalisti co-imputati. Il prelato ha già ammesso durante l’indagine di aver passato le password della Cosea a Nuzzi per l’accesso ai documenti. Sarebbe pronto per Vallejo un posto in un monastero in Spagna, non lontano dalla sua ex diocesi di Astorga.
L’idea è che vi trascorra 5 anni in preghiera ed espiazione. «Abbiamo il nostro diritto penale e il Vaticano ha il suo, valgono le regole del diritto internazionale», risponde Angelino Alfano alla domanda su cosa accadrà se Nuzzi e Fittipaldi dovessero essere condannati. «Ci porremmo il tema quando ciò dovesse avvenire, ma non siamo in questa fase», precisa il ministro dell’Interno. Vallejo e Chaouqui, sono accusati di aver divulgato documenti riservati, reato che prevede da 4 a 8 anni di carcere, ma anche di associazione a delinquere insieme a Maio, e questo può far lievitare la pena da 3 a 6 anni aggiuntivi.
Secondo l’accusa avrebbero svelato carte sul patrimonio immobiliare, sui «forzieri» vaticani, lo Ior e l’Apsa, sulla condotta di alcuni porporati finiti nei volumi diventati «corpo del reato» e cioè «Avarizia» e «Via crucis», i cui autori sono accusati di concorso nel reato di divulgazione di segreti. Anche in Vaticano ci sono tre gradi di giudizio: giudice unico o Tribunale, a seconda dell’entità dei reati, per la prima istanza; Corte d’Appello; Corte di Cassazione.
In aula con leggi del ’29
In caso di custodia cautelare, questa non può superare i 50 giorni, rinnovabili di altri 50 in casi complessi. Nel caso di condanna a una pena detentiva la Segreteria di Stato può chiedere all’Italia che la pena venga scontata in un carcere italiano, in base alle disposizioni dei Patti lateranensi. Il Papa può intervenire in qualunque momento del processo. Di solito il Pontefice aspetta la conclusione del processo, com’è stato con il maggiordomo Paolo Gabriele, graziato da Benedetto XVI, ma solo al termine dell’iter giudiziario. L’azione giudiziaria viene condotta dal promotore di giustizia che è attualmente Gian Piero Milano. Avvocato, professore di diritto canonico ed ecclesiastico a Tor Vergata, Milano è stato chiamato all’incarico da Francesco. Il Promotore di giustizia corrisponde al pubblico ministero. Con una eccezione: per i reati meno gravi, può decidere autonomamente il rinvio a giudizio. Potere in più.
La giustizia si rifà in molte parti al processo italiano come era quasi un secolo fa, al momento della firma dei Patti Lateranensi del 1929. Come stabilisce la Legge sulle fonti del diritto, firmata da Benedetto XVI nel 2008, il codice di diritto penale italiano, promulgato nel 1889 e quello di procedura penale (in vigore in Italia dal 1913 al 1930) sono i testi ai quali attinge il diritto del tribunale vaticano . Un’impostazione che si è andata via via aggiornando, con le modifiche di Benedetto XVI e con il Motu proprio di Francesco dell’11 luglio 2013. Se il processo nel suo complesso resta sostanzialmente uguale, mutano però quegli strumenti che consentono una maggiore cooperazione internazionale.