martedì 29 dicembre 2015

La Stampa 29.12.15
I proclami dell’Isis fanno vacillare l’America liberal
di Paolo Mastrolilli


L’Isis sta riuscendo nel colpo in cui avevano fallito persino i nazisti: spingere gli americani a riconsiderare il mito della libertà di espressione. Il dibattito ormai coinvolge alcune delle menti più raffinate nel campo del diritto costituzionale, e dalle aule accademiche si è trasferito sulle pagine dei grandi giornali tipo il «New York Times». Visto che i terroristi, come ha dimostrato la strage di San Bernardino, reclutano e radicalizzano a distanza, sfruttando la tecnologia digitale che non esisteva nell’epoca in cui fu scritta la legge fondamentale degli Usa, non sarebbe venuto il momento di tappare loro la bocca?
Il Primo emendamento della Costituzione recita così: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento di qualsiasi religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e fare petizioni al governo per la riparazione dei torti». Questo è un pilastro legale degli Stati Uniti, perché il paese fu fondato da pellegrini che scappavano dall’Europa proprio per sfuggire alle persecuzioni derivate dalla limitazione della loro libertà di religione e di espressione. È sopravvissuto anche al nazismo, visto che in America esistono ancora movimenti ispirati all’ideologia di Hitler, liberi di promuoverla. Alla Scuola di Giornalismo della Columbia University, quella che assegna i premi Pulitzer, il principe del foro Floyd Abrams teneva frequentatissime lezioni sul Primo Emendamento, in cui spiegava perché non fosse possibile accettare qualunque limitazione: una volta passato il precedente che lo stato può chiudere la bocca ad un cittadino, per qualsiasi ragione, il principio della libertà di parola è infranto e non c’è più limite a dove può arrivare la persecuzione per i reati di opinione.
In realtà la Corte Suprema aveva già messo qualche paletto, quando nel 1919 i giudici Oliver Wendell Holmes e Louis Brandeis avevano sviluppato il concetto del «clear and present danger test», discutendo un caso relativo all’ostruzione della leva durante la Prima Guerra Mondiale. In altre parole, se le parole pronunciate da qualcuno creavano un pericolo chiaro e imminente, lo stato aveva il diritto di intervenire. Questo concetto è stato molto criticato e poco applicato.
I timori di Trump e Hillary
Ora, alla luce della minaccia dell’Isis, Donald Trump ha proposto di chiudere Internet, mentre la stessa Hillary Clinton ha chiesto alla Silicon Valley di partecipare ad un «Manhattan Project» digitale, per controllare cosa fanno i jihadisti online e bloccare la loro propaganda. Il caso Snowden ha già provocato un feroce dibattito sulla privacy, con l’America divisa fra chi lo considera un eroe della libertà, e chi un traditore manipolato dalle intelligence straniere che ha fatto un favore ai terroristi. Ora autorevoli menti liberal come Cass Sunstein, professore ad Harvard, ex consigliere legale del presidente Obama, nonché marito dell’ambasciatrice americana all’Onu Samantha Power, si sono unite al dibattito per sostenere che è arrivato il momento di dare una stretta al Primo Emendamento. Secondo Sunstein non possiamo permetterci migliaia di morti per garantire la libertà assoluta di parola, e quindi bisognerebbe rivedere il «clear and present danger test», consentendo allo stato di perseguire l’incitazione alla violenza quando produce un rischio per la sicurezza pubblica, anche se non è imminente. Il suo collega di Chicago Eric Posner ha proposto di chiedere a compagnie come Facebook e YouTube di bloccare la propaganda, e passare una legge che vieti di guardare i siti di Isis, come si fa già con la pedopornografia. Altri però obiettano che questo sarebbe proprio lo stravolgimento dei valori americani che i terroristi vogliono provocare.