La Stampa 23.12.15
Voglia di governo e spina Podemos
I socialisti corteggiati da Rajoy
Il premier convoca Sánchez e gli offre la presidenza del Congresso
Nel grande giorno del sorteggio della lotteria di Natale, il Paese si è letteralmente fermato, i socialisti sembrano aver preso il biglietto sbagliato. La tenaglia è talmente opprimente che nella Calle Ferraz, la storica sede del Psoe, circola una battuta: «Tutto sommato era meglio perdere davvero». Un paradosso, ma fino a un certo punto, perché il magro risultato elettorale di domenica scorsa (22% dei voti, 90 seggi) mette Pedro Sánchez in una condizione difficile, tra le pressioni per arrivare a un accordo con il Pp in nome della stabilità, sirene in questo senso già cominciano ad arrivare da Bruxelles, e la spinta dei militanti, che preferiscono sedersi a un tavolo di sinistra, con Podemos. Oggi a mezzogiorno il leader socialista è stato convocato alla Moncloa. Il premier starebbe per offrirgli la presidenza del Congresso e la riforma della Costituzione in cambio di quell’astensione decisiva per un suo secondo mandato. La terza via sarebbe un ritorno alle urne, un salto nel buio che non può che far paura.
Resistenza andalusa
In questa partita complicatissima, il segretario deve cercare di tenere il partito dietro di sé e non è semplice. A insidiarlo in modo sempre meno coperto, c’è la potente leader andalusa Susana Díaz, che, forte del (relativo) successo nella sua regione, comincia a dettare la linea a Madrid: «Né opportunismo, né avventure», ha detto ieri a Siviglia. La traduzione è semplice: niente larghe intese con la destra, «un rotondo no a Rajoy», ma nemmeno un accordo con Podemos e con i suo misto di «populismo e nazionalismo». La Díaz con gli ex indignados ha un conto aperto, dalle sue parti lo scontro è durissimo e non è un segreto che quando il Psoe ha negoziato con Pablo Iglesias a livello locale, la leader andalusa si sia messa di traverso.
«La posizione di Susana è la nostra - dice alla Stampa, María González Veracruz, deputata e portavoce del comitato elettorale del Psoe -, siamo stati chiari, ora tocca a Rajoy provare a formare un governo. Noi non lo appoggeremo in nessun modo. Se dovesse fallire si apre un’altra partita». Ma la pressione è tanta e non solo interna. Un aneddoto lo rivela: il governo tedesco voleva congratularsi con il vincitore delle elezioni, come da prassi, ma non ha saputo a chi indirizzare gli auguri. Un imbarazzo dal quale si è usciti con un’acrobazia diplomatica: «Complimenti al popolo spagnolo per l’alta affluenza alle urne».
«L’incertezza è generale - ammette la González Veracruz - capisco che abbiamo su di noi gli sguardi rivolti dall’estero, ma i mercati devono rispettare la democrazia». I rapporti con Podemos sono pessimi: «Hanno fatto una campagna elettorale contro di noi - prosegue la deputata - hanno usato tutti gli strumenti della vecchia politica, ora dicono che la condizione per poter trovare un accordo è un referendum in Catalogna, una cosa che chiaramente non possiamo accettare».
Pablo Iglesias ha alzato la posta, rendendo quasi impossibile un dialogo con i socialisti, «ogni accordo passa per il referendum sull’indipendenza in Catalogna», continua a ripetere da domenica notte. Una condizione che sembra messa lì per farsi dire di no da un partito Socialista sempre più a trazione meridionale (quasi un deputato su quattro è andaluso), con una rappresentanza in territori, nei quali le concessioni ai catalani non sarebbero gradite. Susana Díaz se n’è fatta interprete: «Podemos non vuole più il café para todos (la formula costituzionale di uguaglianza delle regioni spagnole ndr), ma solo per il sindaco di Barcellona, Ada Colau. Non si può barattare l’unità di Spagna per un pugno di voti». La campagna elettorale, forse, non era finita venerdì scorso.