La Stampa 18.12.15
Ughi: “Non vedo l’ora di tornare in Siria
Intanto, porto a Cuba la grande Europa”
Stasera a Roma il grande violinista suona “per i bambini in pericolo nel mondo”
di Sandro Cappelletto
«Settecento, dall’inizio dell’anno. Sono i bambini morti nel tentativo di abbandonare i loro Paesi in guerra e di trovare una vita nuova. Non si può dimenticare questa tragedia, non dobbiamo farci l’abitudine». Uto Ughi con i Filarmonici di Roma suona questa sera all’Auditorium di via della Conciliazione in una serata di beneficenza promossa dall’Unicef assieme all’associazione Anfiteatro dell’Anima di Savigliano.
Il concerto è dedicato «ai bambini in pericolo nel mondo». I biglietti costano dai 10 ai 20 euro e per il pubblico sarà possibile fare ulteriori donazioni a vantaggio dell’Unicef. «Ho suonato a Damasco, ho ricordi meravigliosi di quel pubblico, degli studenti del Conservatorio, del loro talento, della loro voglia di studiare. Quando sarà possibile tornarci? Ma ora dobbiamo pensare ai bambini siriani, la cui tragedia ha commosso Angela Merkel», dice il nostro violinista.
Davvero la musica potrà fare qualcosa sulla via della pace?
«È un veicolo universale, al di là di ogni ideologia. Ogni persona, qualsiasi lingua parli, qualsiasi religione professi, può sentirla e condividerla. Purché sia suonata bene».
Mozart e Beethoven arrivano a tutte le orecchie? Ne è convinto?
«Guardi: se arrivano agli italiani, possono arrivare praticamente ovunque! Lo dico perché stiamo diventando un popolo musicalmente ignorante, dominato dal cattivo gusto che ci imbastardisce ogni giorno di più».
Musica e religione. Che cosa pensa di quei genitori di altre religioni contrari all’esecuzione dei canti natalizi nelle nostre scuole dell’obbligo?
«Innanzitutto, va detto che sono una piccolissima minoranza. Ma sul punto bisogna essere fermi: questo atteggiamento è vergognoso. Li accogliamo e loro criticano la nostra identità e le nostre tradizioni?! Così si aumenta soltanto la reciproca intolleranza. Non bisogna dare spazio a simili idiozie».
E le loro tradizioni?
«Se parliamo dei musulmani, devono avere le moschee, i luoghi di culto dove praticare in serenità e nel rispetto reciproco la loro fede».
C’è un primato della musica occidentale rispetto alle altre musiche del mondo?
«Nella mia vita ho viaggiato molto, ascoltato moltissimo, scoperto tante realtà musicali di prim’ordine. Rimango dell’idea che la culla della musica più alta sia l’Europa».
Non le sembra un’affermazione troppo conservatrice?
«No. Diceva Gustav Mahler: tradizione non significa custodire le ceneri, ma conservare la forza del fuoco».
Quali considerazioni dopo il suo recente viaggio a Cuba?
«Sono entusiasta, dell’attenzione e del livello di qualità che ho trovato. Tornerò il prossimo anno con un’orchestra mista italiana e cubana. Quando esportiamo le cose più positive dell’Occidente, possiamo ancora giocare un grande ruolo nel mondo».
E quelle negative?
«Per carità! Non le basterebbero due pagine di giornale per elencarle tutte».
Lei da anni si batte per un ampliamento dell’educazione musicale nel nostro Paese. Vede qualche risultato raggiunto?
«Sì, in negativo. Avevamo in tante cittadine e piccoli centri una rete così diffusa da far invidia alla Germania. Oggi, soprattutto nel Sud, corriamo il rischio della desertificazione musicale: ci sono territori interi senza più un’associazione di concerti. Grazie ai parametri stabiliti dall’ultimo decreto ministeriale, circa cento realtà sono scomparse e ottocento addetti hanno perso il lavoro. A questo punto credo in Italia sia in atto una vera e propria strategia di distruzione».
Recentemente il ministro del lavoro Poletti ha consigliato i ragazzi italiani di finire presto gli studi, accontentandosi anche di voti modesti, senza preoccuparsi di eccellere. Lei è d’accordo?
«Lo vede che è proprio una strategia? Io vado verso i 72 anni e studio ogni giorno, ogni giorno cercando di metterci il massimo dell’impegno. Per fortuna i giovani, a differenza dei politici, sono consapevoli che la competizione è internazionale e va giocata oggi a livelli molto alti. Che per emergere devono studiare con costanza e determinazione. La musica non tollera e non perdona distrazioni».