venerdì 11 dicembre 2015

La Stampa 11.12.15
Ben Jelloun: addio patria dei diritti se la Francia copia Guantanamo
Lo scrittore sull’ipotesi di incarcerare i sospetti di terrorismo
intervista di Paolo Levi


«Guantanamo è una catastrofe, la Francia non segua l’esempio o sarà la fine della patria dei diritti umani». In questi giorni Tahar Ben Jelloun è a casa sua in Marocco. Tra gli intellettuali maghrebini più ascoltati in Europa lo scrittore e poeta di 71 anni è ancora sconvolto per gli attentati di Parigi.
Le parole di Ben Jelloun arrivano nemmeno 24 dopo che è emerso che il deputato dell’opposizione, Laurent Wauquiez (Les Républicains) chiede il carcere preventivo, sulla base di semplici indizi e senza ricorso alla giustizia ordinaria, per gli individui etichettati con la «scheda S», quella che indica gli individui “radicalizzati” in odore di jihad ma senza che siano stati condannati. Una proposta che il governo socialista di Hollande ha girato al Consiglio di Stato affinché ne esamini la legittimità.
Alcuni denunciano la prospettiva di una «Guantanamo alla francese». Lei che dice?
«Penso che in questo caso gli Stati Uniti non possano essere un modello per la Francia e per il suo antica tradizione legata ai diritti umani. Guantanamo è una catastrofe, dentro non ci sono soltanto terroristi, ma probabilmente anche tanti innocenti. E soprattutto non ha impedito nuovi attentati. È una prigione illegale che persino Obama non riesce a far chiudere. Parigi non segua l’esempio o sarà la fine della Patria dei Diritti».
Però adesso all’Assemblée nationale tutti sono concordi nel dire che bisogna sacrificare una dose di libertà per più sicurezza. Marine Le Pen vola nei sondaggi. La destra moderata e il partito socialista le corrono dietro...
«Quando vieni colpito da attentati come quelli del 13 novembre l’istinto iniziale è reagire con forza, vigore e violenza. È comprensibile. Però alla fine sono giustizia e diritto a dover primeggiare sulla nostra rabbia. Qualunque sia il sospetto, la democrazia non può invadere una casa o arrestare colui che la polizia sospetta di passare all’azione».
Come fare allora a combattere i terroristi del Califfato?
«È una lotta lunga e difficilissima. I raid aerei sulle loro postazioni non bastano, loro sono in mezzo a noi, lo abbiamo visto a Parigi, a Tunisi, in California. Bombardare noi stessi? Impossibile. Combattiamo ad armi impari. È una guerra di un nuovo genere che l’Europa non può combattere senza rinunciare ai propri valori. Ripeto: la democrazia è il nostro bene più prezioso ma non è equipaggiata per lottare contro questo tipo di terrorismo».
I terroristi saranno più forti?
«Contrariamente a noi sono invisibili e imprevedibili. Non hanno alcuna paura di sacrificare la loro vita. Gli hanno fatto il lavaggio del cervello. L’istinto vitale, per noi così ovvio, si è invertito in istinto di morte»
Si riferisce al martirio e le famose 72 vergini in premio?
«Sono appena rientrato dal bar sotto casa e tra un caffè e l’altro si scherzava sul fatto che i terroristi non ci hanno capito niente: in realtà non sono 72 vergini ma una vergine di 72 anni... Questa è Tangeri».
Cos’altro ha sentito al caffè?
«Qui in Marocco ripetono tutti la stessa cosa: saranno i musulmani innocenti a pagare le conseguenze di questo gruppo di criminali, e sarà un prezzo molto caro. Quando sentiamo cosa dice Trump negli Usa o il Front National in Francia. Responsabilità dei politici sarà scongiurare facili confusioni...».
C’è chi ha definito le periferie transalpine i «territori perduti della République». È d’accordo?
«Per averle frequentate assiduamente devo riconoscere che lo Stato francese non le ha aiutate moltissimo. Però le colpe ricadono anche su quelle tante famiglie che non hanno vegliato ai figli. Guardi, è come la mafia, la polizia non basta. Serve tempo e tanta tanta istruzione».