mercoledì 30 dicembre 2015

Il Sole 30.12.15
Tra banche e flessibilità, le partite aperte con la Ue
di Dino Pesole


In un’Europa che – come ammette esplicitamente Jean Claude Juncker – è andata quest’anno molto «vicina all’abisso», l’Italia affronta il 2016 con una serie di dossier tuttora aperti, il cui esito appare tutt’altro che scontato. Dal duro botta e risposta sulla questione dei salvataggi bancari, originato dalla crisi dei quattro istituti di credito e dalla soluzione adottata con il decreto “salva banche” (caso che potrebbe finire davanti alla Corte di giustizia europea), all’Ilva, per finire con la trattativa in corso con Bruxelles sui margini di flessibilità chiesti dal Governo e inseriti nella legge di stabilità. Passando per la soluzione relativa ai crediti deteriorati delle banche, sulla quale il confronto con Bruxelles è in atto da mesi.
Nel corso della conferenza stampa di fine anno, Matteo Renzi ha ribadito ieri che l’Italia rispetta le regole e casomai si batte per cambiarle. Il punto è che proprio l’affollarsi dei dossier oggetto di contenzioso con Bruxelles rende indispensabili soluzioni politiche di compromesso. E la sponda della Germania resta fondamentale per portare a casa il risultato. Da questo punto di vista, il confronto/scontro andato in scena nell’ultimo Consiglio europeo tra Renzi e Angela Merkel, cui ieri il premier si è nuovamente richiamato nel ricordare che le regole valgono per tutti (per chi aumenta il deficit al pari di chi continua a mantenere un elevato surplus commerciale) va decisamente circoscritto. Non si cambia la politica economica europea senza il pieno coinvolgimento della Germania. Diplomazie al lavoro, dunque, già nei primi giorni del nuovo anno per preparare il nuovo faccia a faccia tra Renzi e Angela Merkel e ricucire lo strappo con Bruxelles sul tema delle banche.
Il presidente del Consiglio si è detto convinto che in primavera il giudizio finale della Commissione europea sulla legge di stabilità si chiuderà con il via libera alla clausola di flessibilità sulle riforme. Lo spazio chiesto dall’Italia equivale al massimo previsto per l’attivazione di questa clausola, vale a dire lo 0,5% del Pil. Bruxelles – osserva Renzi – non potrà al tempo stesso dire di no all’utilizzo dell’ulteriore margine dello 0,2% da attribuire alla clausola migranti, assimilabile alle circostanze eccezionali già previste dai Trattati e dalla normativa del 1997 sull’immigrazione.
Se questo è lo scenario, sub iudice sarebbe al momento lo 0,3% di flessibilità aggiuntiva chiesta per gli investimenti, che potrebbe non essere concessa per l’intero ammontare (4,8 miliardi). Non è un’opzione da poco, poiché il Governo ha di fatto già inserito nei saldi di finanza pubblica l’effetto delle diverse clausole di flessibilità, tanto che il deficit del 2016 è ora indicato al 2,4% del Pil. In sostanza, si fa ricorso a un maggior indebitamento pari a un punto di Pil rispetto allo scenario tendenziale della scorsa primavera.
Nulla di cui scandalizzarsi, poiché saremmo comunque in un contesto di rispetto del parametro europeo (nessuna procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo), tenendo comunque conto che un eventuale mancato riconoscimento della clausola sugli investimenti (che comunque riguarda progetti cofinanziati dalla Ue) imporrebbe al governo di reperire altrove le relative risorse, o di far lievitare ulteriormente il deficit del 2016. L’approccio politico seguito dalla Commissione europea fin dal suo insediamento (sinteticamente racchiuso nella comunicazione sulla flessibilità del gennaio 2015) si è tradotto in un’apertura di credito nei confronti del governo Renzi.
I risultati si ottengono non esibendo toni muscolari, ma con il sapiente lavoro della diplomazia. Ed è per questo che, dopo il botta e risposta tra Roma e Bruxelles a suon di pubblicazione di lettere e controdeduzioni sulla questione banche, ora è di nuovo il tempo del confronto a tutto campo, aspro se necessario, per portare a casa il miglior risultato possibile.