Il Sole 2.12.15
il Parlamento si è man mano spappolato
Dal metodo Mattarella a oggi - che si vota per la ventinovesima volta per eleggere tre giudici costituzionali
di Lina Palmerini
il Parlamento si è man mano spappolato. Tutto è successo in meno di 10 mesi, un capovolgimento totale in cui si è passati da una compattezza assoluta del Pd a una frammentazione che riguarda tutti i gruppi. E se un punto di svolta e di rottura può essere individuato, questo è senz’altro il passaggio prima dell’Italicum e poi della riforma costituzionale.
Se infatti a febbraio il Pd superò la prova-Quirinale ben oltre le aspettative, di lì a poco è esploso sulla legge elettorale e in modo davvero traumatico. Forse il più traumatico visto che Renzi pose il voto di fiducia sull’Italicum e due ex segretari Pd (Bersani ed Epifani) e un ex premier (Letta) votarono contro il Governo. Stessa scena - ma meno dirompente - sulla riforma costituzionale su cui in extremis è stato trovato un accordo ma dove stato certificato un allentamento dei vincoli all’interno dei gruppi parlamentari. Che è tanto più visibile ogni volta che il voto è segreto. Tant’è che ieri i sospetti della mancata elezione di Augusto Barbera (il candidato Pd alla Consulta) sono caduti anche su parti del Pd. Il fatto è che quei due passaggi sulla legge elettorale e poi sulla riforma costituzionale sono stati lo strappo che ha generato frustrazione e risentimento e che si scaricano ogni volta che non c’è un voto palese.
È vero quello che dice il presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda, quando parla di un Parlamento che esprime il suo vero volto solo con lo scrutinio segreto. È in queste occasioni, come ieri, che le Camere appaiono per quelle che sono: organizzate da piccoli gruppi, spesso trasversali, piccole tribù di rancori o di interessi. E non si tratta solo del Pd. Anche nel caso di Forza Italia c’è un prima e un dopo rispetto alle riforme istituzionali. Sono stati i passaggi da cui, infatti, sono nati, per ragioni diverse, altri gruppi. Denis Verdini ha usato l’appoggio alle riforme per lasciare il Cavaliere e affiancare Renzi, Raffaele Fitto ha fatto lo stesso ma per ragioni opposte. E perfino nel gruppo di Alfano, il divorzio di Quagliariello nasce da un’opposizione alla nuova legge elettorale e alla riforma costituzionale.
Insomma, quelle leggi sono state il tornante in cui il Parlamento è sbandato, ha perso pezzi. Il momento in cui dalla logica di gruppo si è passati a una logica di interesse personale proprio perché le nuove riforme cambiano le carte in tavola e gli attuali partiti non sono più in grado di garantire a tutti i parlamentari quello che potevano garantire con il vecchio status quo. E questo vale tanto più per i senatori visto che la riforma abolisce il Senato nell’attuale versione per farne una Camera di 100 consiglieri regionali non eletti direttamente. È vero che perfino i 5 Stelle hanno perso pezzi, 18 senatori su 53 sono andati via dal gruppo, e che pure la Lega ha avuto la scissione di Tosi rendendo per il Pd ancora più complicate le trattative ora che i tavoli – e gli scambi – si moltiplicano.
Ieri però il gruppo è riuscito a tenere, Barbera ha guadagnato voti anche se ne mancano ancora 25. A Forza Italia invece non è bastato il messaggio che Berlusconi ha mandato ai suoi e di nuovo Francesco Paolo Sisto non ha centrato l’obiettivo. Peggio è andata al candidato centrista Giovanni Pitruzzella, che ha ritirato la sua candidatura. Forse questo passo indietro agevolerà una nuova intesa su cui però nessuno si sente di scommettere. A meno di un patto con i 5 Stelle.