Il Sole 2.12.15
L’inutile tentativo Usa di riparare ai propri errori
di Alberto Negri
A Parigi sono svaniti i dubbi: in Siria russi e iraniani, insieme ad Assad, faranno la loro guerra, gli Stati Uniti con gli europei ne condurranno un’altra. Non c’è alleanza ma concorrenza: è il risultato dello scontro tra lo zar russo e il sultano turco. Non si tratta però solo di questo. Le due coalizioni hanno un nemico comune, l’Isis, ma obiettivi e scopi assai diversi. Devono evitare di farsi troppo male: la tensione Russia-Turchia è destinata a permanere, nonostante la mediazione di Obama.
Questa rimane la guerra dei calcoli sbagliati, che ora si pagano con il terrorismo, come dimostra anche la bomba di ieri al metro di Istanbul. L’ingresso della Russia sul campo ha messo Erdogan con le spalle al muro, più di quanto gli Usa e la Nato, inspiegabilmente, potessero prevedere. Nel 2012 l’Alleanza schierò i Patriot sul confine turco per poi lasciare soltanto una batteria. Eppure la situazione era chiara da tempo agli Stati Uniti che questa estate avevano ottenuto da Ankara la base di Incirlik per bombardare in Califfato dando in cambio il via libera ai raid sui curdi.
Ma le richieste di Erdogan erano ben altre: una “no fly zone” e aree cuscinetto in Siria per spezzare la continuità territoriale dei curdi. Anche la Turchia ha investito molto nei suo calcoli sbagliati. Per proporsi come il paladino dei sunniti contro la mezzaluna sciita, il presidente Tayyp Erdogan ha accolto 2 milioni di profughi, appoggiato l’Isis e il passaggio dei “foreign fighters”.
Con i raid al confine turco-siriano Putin ha umiliato le ambizioni di Erdogan che ha reagito con l’abbattimento del jet russo. Obama sostiene che Ankara ha diritto a difendersi ma i primi a negare l’espansione turca in Siria sono stati proprio gli americani che non si fidano di lui. Erdogan ha però qualche ragione da accampare: il suo spericolato avventurismo è stato incoraggiato dagli occidentali. L’”autostrada della Jihad”, dove passavano i jihadisti stranieri, venne aperta nel 2011 con il consenso di Washington e di Parigi che la mascheravano accreditando alle conferenze internazionali una sfilata di leader siriani “moderati” del tutto insignificanti.
Ecco perché Obama fa il paciere tra Mosca e Ankara: deve difendere gli errori compiuti dell’ex segretario di Stato Hillary Clinton. E per tenere buono Erdogan e il fronte sunnita delle monarchie del Golfo continua a insistere che Assad deve lasciare il potere. Ma sa benissimo che non se ne andrà. Per quanto? I russi sono più flessibili degli iraniani ma anche Putin è un negoziatore duro.
Mentre sul Levante sfrecciano nugoli di caccia, le truppe contro il Califfato sono sempre quelle da anni: Pasdaran iraniani, Hezbollah libanesi, milizie sciite e curdi. Tranne i curdi che combattono per l’autodeterminazione, gli altri sono tutti con il regime di Damasco e contro ogni opposizione ad Assad. L’Occidente non ha una fanteria: è il punto debole se vuole dire la sua sul futuro della Siria. Questa è una guerra sporca, con 220mila morti e le popolazioni ostaggio dei combattenti, non una sfilata di tecnologia militare come sembrano credere molti europei da 70 anni lontani dai campi di battaglia.