martedì 29 dicembre 2015

Il Sole 29.12.15
Una nuova era per il Medio Oriente
Cinque principi per dare una forte consapevolezza politica all’area
di Jeffrey D. Sachs


Gli Usa, la Ue e le istituzioni guidate dal mondo occidentale, come la Banca Mondiale, pongono la questione del perché il Medio Oriente non riesca a governarsi. La domanda è sincera, ma priva di consapevolezza. Dopotutto, l’unico e più grande impedimento ad una buona governance nella regione è stata finora la mancanza di un’auto-governabilità. Le istituzioni politiche della regione sono state compromesse dai continui interventi di Usa ed Europa sin dalla Prima guerra mondiale e in certi luoghi persino da prima.
Un secolo è abbastanza. Il 2016 dovrebbe segnare linizio di un nuovo secolo di politica mediorientale interna focalizzata sulle sfide dello sviluppo sostenibile.
Il destino del Medio Oriente è stato segnato nel novembre 1914, quando l’impero ottomano si schierò con i perdenti della Prima Guerra Mondiale. Il risultato fu il disfacimento dell’impero con la vittoria di Gran Bretagna e Francia che presero il controllo delle rovine dell’impero. La Gran Bretagna prese il controllo dei governi della regione oggi corrispondente a Iraq, Giordania,Israele, Palestina e Arabia Saudita; la Francia prese il controllo di Libano e Siria.
Il mandato formale della Società delle Nazioni fu utilizzato per garantire il potere di Francia e Gran Bretagna su petrolio, porti, vie navigabili e politiche estere dei leader locali. Inoltre, nell’area che poi divenne l’Arabia Saudita, la Gran Bretagna sostenne il fondamentalismo wahabita di Ibn Saud contro il nazionalismo arabo di Hashemite Hejaz.
Dopo la Seconda guerra mondiale gli Usa scelsero la linea interventista iniziando con il sostegno ad un colpo militare nel 1949 in Siria con un’operazione della Cia mirata a spodestare il regime iraniano di Mohammad Mossadegh nel 1953 (e garantire all’Occidente il controllo del petrolio del Paese). Gli Usa hanno poi mantenuto la stessa linea fino ad oggi con il rovesciamento di Gheddafi in Libia nel 2011, di Mohamed Morsi in Egitto nel 2013 e con la guerra in atto in Siria contro Bashar al-Assad. Per settant’anni, Usa e alleati sono intervenuti più volte (anche dando supporto a colpi di Stato) per spodestare i governi sui quali non esercitavano sufficiente influenza.
L’Occidente ha armato tutta la regione con centinaia di miliardi di dollari attraverso la vendita di armi. Gli Stati Uniti hanno istituito delle basi militari in tutta la regione e, con una serie di operazioni fallite della CIA, hanno inoltre lasciato un'ampia riserva di armamenti nelle mani di violenti nemici sia degli Stati Uniti che dell'Europa.
Pertanto, quando i leader occidentali pongono agli arabi, e ad altri nella regione, la questione del perchè non riescano a governarsi, dovrebbero essere pronti a sentirsi rispondere in questi termini: “Per un intero secolo i vostri interventi hanno indebolito le istituzioni democratiche (con il rifiuto dei risultati del voto elettorale in Algeria, Palestina, Egitto e in altri paesi), hanno alimentato guerre continue che sono ormai croniche, hanno armato gli jihadisti più violenti ed hanno trasformato l'area da Bamako a Kabul in un campo di battaglia.”
Che cosa si dovrebbe fare per un nuovo Medio Oriente? Vorrei proporre 5 principi.
Innanzitutto, e cosa più importante, gli Usa dovrebbero porre fine alle operazioni sotto copertura della Cia mirate a rovesciare e a destabilizzare i governi in qualsiasi parte del mondo. La Cia fu fondata nel 1947 con due mandati: uno valido (raccogliere intelligence) e l’altro disastroso (fare operazioni sotto copertura per rovesciare i regimi considerati “ostili” agli interessi statunitensi). Il presidente degli Usa dovrebbe, con ordine esecutivo, porre fine alle operazioni sotto copertura Cia e mettere fine al continuo ripetersi delle violenze e al caos che hanno contribuito ad alimentare, soprattutto nel Medio Oriente.
In secondo luogo, gli Usa dovrebbero perseguire i propri, a volte validi, obiettivi di politica estera nella regione con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’approccio attuale volto a creare una “coalizione dei volenterosi” guidata dagli Usa non solo è fallito, ma ha comportato che obiettivi validi come fermare lo Stato islamico vengano bloccati da rivalità geopolitiche.
Gli Usa trarrebbero vantaggio dal porre le iniziative di politica estera alla verifica del voto del Consiglio di Sicurezza. Quando il Consiglio rigettò la proposta di entrare in guerra contro l’Iraq nel 2003, gli Usa avrebbero fatto meglio ad astenersi dall’invadere il Paese. Quando la Russia, membro permanente del Consiglio con diritto di veto vincolante, si è opposta alla proposta statunitense di rovesciamento del presidente siriano Bashar al-Assad, gli Usa avrebbero fatto meglio ad evitare di allestire operazioni sotto copertura volte a deporre il regime siriano. Ora il Consiglio di Sicurezza sembra pronto a sostenere un piano globale (non guidato dagli Usa) per combattere lo Stato islamico.
In terzo luogo, Usa ed Europa dovrebbero accettare che la democrazia nel Medio Oriente produrrebbe delle vittorie islamiste con il voto. Molti dei regimi islamisti eletti fallirebbero, così come falliscono molti governi con prestazioni scadenti. Questi governi islamisti verrebbero rovesciati con le elezioni successive o nelle strade o persino dai generali locali. Ma gli sforzi continui di Gran Bretagna, Francia e Usa di estromettere dal potere i governi islamisti non fanno altro che bloccare la maturazione dell’area senza portare risultati e senza garantire benefici a lungo termine.
Quarto, i leader locali, dal Sahel al Nord Africa e dal Medio Oriente fino all’Asia centrale, dovrebbero riconoscere che la sfida più importante che il mondo islamico si trova ad affrontare è la qualità dell’istruzione. La regione è indietro rispetto ai Paesi omologhi con reddito medio nel campo della scienza, della matematica, dell’innovazione tecnologica, dell'imprenditoria, dello sviluppo della piccola e media impresa e nella creazione di posti di lavoro. In qualsiasi luogo, un’istruzione di alta qualità garantisce prospettive di prosperità.
Infine, la regione dovrebbe affrontare la sua estrema vulnerabilità al degrado ambientale e alla dipendenza esagerata nei confronti degli idrocarburi, in particolar modo in vista della transizione globale verso un’energia a basso tenore di carbonio. La regione a maggioranza musulmana che va dall’Africa occidentale all’Asia centrale è infatti la regione più popolata e secca del mondo, ovvero una fascia di 5mila miglia (8mila chilometri) caratterizzata da stress idrico, desertificazione, dall’aumento delle temperature e dall’insicurezza alimentare.
Queste sono le vere sfide che il Medio Oriente si trova ad affrontare. Le divisioni tra i sunniti e gli sciiti, il futuro politico di Assad e le dispute dottrinali sono di gran lunga meno importanti nel lungo termine per la regione della necessità di un’istruzione di qualità, di competenze professionali, di tecnologie avanzate e di sviluppo sostenibile. I coraggiosi e progressisti pensatori del mondo islamico dovrebbero aiutare le loro società a prendere atto di questa realtà e le persone di buona volontà di tutto il mondo dovrebbero aiutarli a farlo attraverso una cooperazione pacifica e ponendo fine alle guerre imperialistiche e alle manipolazioni.
(Traduzione di Marzia Pecorari)