martedì 29 dicembre 2015

Il Sole 29.12.15
L’inchiesta parlamentare serve ai politici non ai risparmiatori
di Paolo Pombeni


A cosa serve una commissione parlamentare d’inchiesta? La domanda non è banale, perché prima di mettere mano ad uno strumento sarebbe opportuno conoscerne funzioni e potenzialità. Una volta si diceva che non si spara ad un passero con un cannone. Oggi, per quanto sia bene non sparare proprio ai passeri, la metafora rende bene l’idea.
Le commissioni parlamentari d’inchiesta sono atti eccezionali ed esprimono la necessità percepita che per far luce su un fenomeno di rilevantissima portata sistemica non sia sufficiente la giustizia ordinaria, tanto che appunto la commissione gode degli stessi poteri inquirenti della magistratura. Così si invade il campo della magistratura ordinaria e di fatto si blocca o quantomeno si condiziona pesantemente il suo lavoro, il che, nelle condizioni attuali della questione sulle quattro banche fallite, non è quel che ci si può augurare a tutela dei danneggiati. Aggiungiamoci, sommessamente, che una caratteristica fondamentale per avviare una simile procedura sarebbe quella di poter far conto su una classe politica abbastanza solidale al suo interno da far prevalere l’interesse generale sulle strumentalizzazioni di parte.
Basterebbero queste banali osservazioni per sconsigliare vivamente dal ricorrere allo strumento della commissione parlamentare d’inchiesta nel caso del fallimento di quattro piccole banche. Ovviamente nessuno sottovaluta la tragedia personale di soggetti mal consigliati, forse persino truffati, che si sono trovati a perdere i propri risparmi (anche se bisogna pur chiedersi se proprio tutti i sottoscrittori delle obbligazioni subordinate siano degli ingenui truffati o se una parte almeno di essi non siano persone un po’ avide e un po’ superficiali che speravano di guadagnare di più rischiando senza capire cosa rischiavano…). Razionalità vuole che non si possa elevare un caso per quanto grave di circonvenzione della fede dei risparmiatori e di pessimo funzionamento del management di quattro piccole banche ad un fatto eccezionale a contrastare il quale non basterebbero gli strumenti ordinari del nostro sistema giuridico. C’è al contrario da ritenere che quegli strumenti siano idonei a tutelare chi va tutelato ed a punire adeguatamente chi va punito.
Se passa una drammatizzazione selvaggia per cui ciò è impossibile finiremo per fare inchieste parlamentari a raffica tanto vasta è la fattispecie del malfunzionamento di settori del nostro sistema. Nessuno può poi onestamente sostenere che esistano attualmente le condizioni per fare di una commissione di questo tipo una sede “terza” che miri a ricostruire una verità, per quanto relativa, evitando di trasformarla in una occasione per una ordalia generalizzata in cui si celebri un “processo politico” contro gli assetti passati e presenti della distribuzione del potere nel nostro paese.
Come si sa, i processi politici non servono mai a ristabilire delle verità, perché sono appunto viziati dal fatto che qualsiasi conclusione raggiungano apparirà come una “verità di parte”. Possono essere ottime occasioni per scatenare cacce alle streghe di vario rito; molto, ma molto difficilmente riescono a suggerire soluzioni ai problemi in campo.
Ora ciò di cui abbiamo bisogno è proprio di individuare soluzioni per un mercato finanziario che sta entrando anche nelle case della gente comune: è un progresso del nostro paese, dove, come in molti altri stati, il risparmio della gente normale non si indirizza più solo nell’acquisto del tradizionale mattone o dei “buoni” garantiti dallo stato. È qui che bisogna intervenire e farlo è nell’interesse degli stessi soggetti economici che hanno bisogno di attingere in maniera positiva alla risorsa del risparmio privato, che va liberato dalla stupida ipoteca di essere il “parco buoi” da sfruttare a piacere. Ma per ottenere che, per dire la cosa più semplice, i prospetti con cui si propongono le sottoscrizioni di natura finanziaria siano scritti in maniera semplice e comprensibile e che facciano capire con chiarezza il livello di rischio a cui si va incontro, così come per imporre che le valutazioni dei livelli di rischio degli investimenti siano stilate da fonti credibili nonché periodicamente aggiornate e consultabili, non c’è bisogno di una commissione d’inchiesta. Si può fare più facilmente e più rapidamente con buoni interventi normativi.
Avviare una commissione d’inchiesta significa attivare una bomba ad orologeria. Certamente per il rischio, niente affatto teorico, di buttare tutto in una grande caciara politica dove sguazzeranno i populismi d’ogni colore. Difficile immaginare che di questi tempi i membri della commissione resisteranno alla tentazione di risalire indietro e di ritirare fuori dagli armadi non solo gli scheletri, ma anche tutte le diatribe passate, col risultato di una destabilizzazione generalizzata del sistema politico, incentivando ancor più il distacco disgustato di troppi cittadini dalla sfera pubblica. E con l’astensionismo che si registra oggi nelle elezioni è di questo che abbiamo bisogno?
In secondo luogo si finirà inevitabilmente per aprire un processo generalizzato a tutte le nostre istituzioni di garanzia: dalla magistratura, che per il solo fatto di vedersi scavalcata dai poteri inquirenti dei parlamentari viene giudicata incapace di fare giustizia da sola, alle autorità di controllo come la Banca d’Italia, la Consob e via dicendo. Davvero pensiamo che mesi di diatribe di questo tipo non intaccheranno la fiducia degli investitori internazionali (e non solo) nel nostro sistema e non ci metteranno in cattiva luce, per non dire di peggio, con quelle istituzioni della Ue che già non ci amano, ma con cui dobbiamo per forza di cose confrontarci?
Come si vede, ci sono molte buone ragioni per dubitare che sia opportuna la scelta di rispondere con una commissione parlamentare d’inchiesta alle domande, più che legittime, di “trasparenza” nella gestione dei problemi rivelati dalla crisi delle quattro banche. È comprensibile la suggestione che così si venga incontro alla domanda di “giustizialismo” su cui speculano le opposizioni e che contemporaneamente si spiazzino coloro che accusano il governo di voler sfuggire ad ogni controllo. Ciò non toglie che quella suggestione sia fallace: i guadagni tattici immediati non compenseranno quei disastri che non è difficile prevedere alla luce di una elementare valutazione della posta in gioco.