Il Sole 10.12.15
Un appello che parla a tre sinistre ma sullo sfondo c’è la legge elettorale
di Lina Palmerini
L’appello all’unità dei tre sindaci – Pisapia, Zedda e Doria - trova almeno tre sinistre in campo. Tre, al netto del Pd. C’è una parte che è contro la ricostruzione del centro-sinistra perché, come dice Cofferati, ormai è finito, non esiste più e bisogna mettere in campo un partito di sinistra alternativo, una sorta di Podemos o Syriza. Dunque, l’appello si fa cadere nel vuoto perché il tentativo che stanno facendo da Civati a Fassina va nella direzione opposta: creare una sinistra antagonista non solo della destra ma dello stesso partito democratico. C’è poi un’altra sinistra, che è incarnata da Sel, che è contro Renzi e che potrebbe immaginare una alleanza con il Pd ma non finché c’è l’attuale premier da cui sono nate politiche di destra come il Jobs act. C’è infine una terza sinistra che è quella a cui appartengono i tre sindaci - ma anche molti amministratori locali di Sel - che quell’appello lo fa, lo riceve e vorrebbe dargli seguito.
È a queste divisioni che parla l’invito dei sindaci di Milano di Cagliari e di Genova. Non è retorica, insomma. Ma è un coltello nella piaga di troppe ambiguità che rischiano di disperdere quel patrimonio di vittorie elettorali e di esperienze amministrative nate dalla collaborazione con il Pd. E sono talmente forti queste divisioni a sinistra che ieri ci si è perfino attaccati su chi fosse il destinatario di quell’appello. Per alcuni è Renzi che vuole sbaraccare il centro-sinistra e puntare al partito della nazione, per altri è Sel che infatti non partecipa alle primarie di Milano a differenza di Pisapia. La ragione del rifiuto del partito di Vendola e Fratoianni è semplice: se si va ai gazebo poi si deve appoggiare chiunque vinca ed, eventualmente, anche Sala che però è un candidato che risponde a una logica politica opposta a quella che Sel sta perseguendo a Roma. Ecco quindi il cortocircuito che divide le strade anche di chi era vicino come Pisapia e Vendola.
E infatti ieri il sindaco di Milano ha detto solo ciò che era possibile dire, cioè che l’appello ha il pregio di far discutere e che le vicende locali non hanno nulla a che fare con Roma. Ma la difficoltà è invece proprio questa, che le vicende locali in questo momento si sovrappongono con quella nazionale. E succede soprattutto a Sel che nel 2008 è stata scottata dall’essere rimasta fuori dal Parlamento per “colpa” della vocazione maggioritaria del Pd di Veltroni. Oggi, con Renzi, quello scenario torna. E non torna con il rifiuto di fare alleanze – come fece Veltroni con la sinistra – ma con la forza di una legge elettorale che premia la lista, non la coalizione. È dunque una lotta di sopravvivenza quella di Sel e della sinistra, perché l’Italicum mette davanti a un bivio: o si entra nella lista o si supera la soglia del 3%, non c’è una terza via. Ed è chiaro che più Sel entra nell’orbita del centro-sinistra di governo, più il voto utile diventa quello al Pd, più si rischia di non superare la soglia. Questo potrebbe accadere con alleanze strette nelle grandi città e questo è il tormento di tutte le divisioni perché oggi i sondaggi danno Sel tra il 3 e il 4%, un filo da una nuova espulsione dai seggi parlamentari.
Il dilemma è tutto qui. Se porti più voti essere una sinistra di governo o se ne porti di più un profilo nettamente antagonista e di opposizione. Alla fine, si potrebbe perfino pensare che l’obiettivo vero di questo braccio di ferro sulle alleanze sia la legge elettorale più che Renzi o il Jobs act. E che con un ritocco all’Italicum e un premio di coalizione, non di lista, i patti a livello nazionale e locale nascerebbero senza appelli all’unità.