il manifesto 4.12.15
Panarari: «Sala, prototipo perfetto del partito della nazione»
Il politologo. Il bocconiano Massimiliano Panarari sul laboratorio-Milano delle amministrative
di Daniela Preziosi
Giuseppe Sala ha il profilo perfetto per l’idea di partito della nazione che ha Renzi, un partito di centro-centrosinistra, per usare un’espressione cara ai teorici della Terza via, post-ideologico, con venature tecnocratiche ma non tecnico e assimilabile alla politica, con un’esperienza di successo alla spalle che ha riattirato l’attenzione dei media internazionali su Milano».
Massimiliano Panarari, massmediologo, politologo e docente alla Bocconi (suo il saggio L’egemonia sottoculturale) non ha dubbi. Sala è indispensabile a Renzi a Milano, «l’unica global city italiana, che sta allo snodo dei flussi comunicativi, finanziari, culturali, simbolici e d’immagine che sono il cuore della globalizzazione».
Dal suo punto di vista perché Renzi non può rinunciare all’ex amministratore di Expo?
Sulla scena internazionale Milano è il biglietto da visita per la forza che la governa, una forza che vuol essere post-ideologica e pienamente inserita nella globalizzazione neoliberale con il paradigma di ’partito pigliatutto’. Per Renzi Milano è un cantiere interessante. La sua forza oggi è essere una città-vetrina. Chi la governa può contare su una serie di asset: la forza economico-finanziaria, l’immagine di successo collegata all’Expo, una società civile e una borghesia che hanno ritrovato una self confidence. Questa è l’ottima dote per chi vincerà.
Ma è una dote accumulata da Pisapia, che ha un profilo diverso da quello di Sala. Il passaggio sarebbe indolore?
Il modello Milano incarnato da Pisapia è una tipica coalizione arcobaleno: tiene insieme parti di città molto differenti che all’interno di un menu à la carte trovavano elementi simbolici o materiali in cui riconoscersi. Sala rappresenterà un blocco sociale più omogeneo, con caratteristiche neocentriste e modernizzatrici, con un’immagine fondata sull’efficienza, sull’amministrazione come valore in sé, rispetto alla quale la città più periferica, fatta di emarginazione e disagio sociale, sarà esclusa. È un tipico modello blairiano, che riguarda solo gli inclusi nei processi di globalizzazione.
Ma il modello blairiano è vecchio, e ormai non proprio di successo.
Il modello blairiano ha subìto forti critiche anche in Gran Bretagna ma a oggi rappresenta il capolinea della sinistra riformista che non ha saputo o voluto darsi un’altra attrezzatura. È un modello degli anni 90, secondo cui la new economy e avrebbe magicamente portato naturaliter all’inclusione di ampie fasce di cittadini. Oggi la prolungata recessione porta all’indebolimento e allo spappolamento dei ceti medi. Il modello blairista, che vinceva nella società fluente, continua a esercitare fascino ma per sottrazione. E cioè perché la sinistra italiana non riesce a creare un altro modello attrattivo con un leader aggregante.
È il leader che fa il modello?
Dentro la postmodernizzazione e mediatizzazione della politica non si prescinde da un leader che faccia da pivot alla coalizione. Lo stesso Pisapia ne è stato la conferma a sinistra. Infatti nel Pd continua la tendenza alla personalizzazione ampiamente egemonica anche a sinistra. Intendiamoci: il Pd non è un partito personale secondo la definizione di Mauro Calise, cioè anche sotto il profilo del controllo delle risorse, ma ha forti tratti di personalizzazione. Accentua sempre più la sua marca ’pigliatutto’ e postideologica, nella quale gli elementi consensus oriented, e cioè della centralità della conquista e del consenso e del comitato elettorale, sono i più diffusi. Gli effetti sono la fine della militanza e il fastidio verso i dirigenti locali. Renzi sta trasformando il Pd in un partito post-burocratico, dismettendo la burocrazia interna tipica dei partiti novecenteschi e indebolendo i gruppi dirigenti locali, le cui faide interne sono ormai uno dei maggiori problemi del leader.
Anche Roma sarà un prototipo del partito della nazione?
Difficile. La specificità milanese non è trasponibile alle altre città, e certo non a Roma. I tratti di Sala sono tipicamente meneghini, appetibili per un elettorato che crede nella buona amministrazione slegata dal colore di chi la esercita, che ha un modello efficientista liberale e neoliberale. Roma è una zeppa nella cavalcata: l’esempio di come, con il doppio ruolo di segretario e premier, Renzi non riesca a amalgamare il partito a sé. Per questo si costruisce un partito post-burocratico a cui non abbia bisogno di dedicarsi, riconducibile ad alcune figure di leader e a un apparato snello che si attivi alle elezioni. Che però Roma non ha.