il manifesto 10.12.15
L’America latina dai golpe militari a quelli mass-mediatici
Analisi. Oggi l'intero continente non è più sottomesso alla dittature del secolo scorso, ed è una conquista. Non a caso nell’ultimo decennio è stata questa l’unica regione al mondo dove è diminuita la disuguaglianza. Ma ora si apre una stagione di nuovi conflitti sociali
di Claudio Tognonato
L’ondata latino americana di governi di sinistra o di centro sinistra ha sofferto un duro colpo nelle ultime settimane con la sconfitta del Frente para la Victoria in Argentina e del Partido socialista unido in Venezuela. Si parla già della fine di un ciclo iniziato nel 1999 con il successo di Hugo Chávez in Venezuela. Nelle presidenziali in Argentina la vittoria di Mauricio Macri su Daniel Scioli è stata di misura 51,4 contro 48,6 %. La presidente uscente, Cristina Fernandez de Kirchner reduce di due affermazioni elettorali dopo il primo governo del marito Néstor Kirchner nel 2003 non poteva ripresentarsi. In Venezuela invece, la sconfitta arriva dopo una serie ininterrotta di 18 successi di fila. In questo caso Nicolás Maduro, che ha raccolto l’eredità di Chávez, non è riuscito nell’impresa ed è stato nettamente battuto nelle elezioni legislative di domenica scorsa (107 contro 55).
Il Brasile, membro dei BRICS e uno dei principali paesi emergenti a livello globale, si trova anche in una situazione delicata con il governo di Dilma Rousseff che deve far fronte all’assedio della destra, che in piazza chiede addirittura l’intervento militare e l’impeachment. Ma anche il Brasile ha alle sue spalle un lungo periodo di governi popolari, i primi due mandati di Lula e ora quello di Rousseff, che fanno sempre capo allo stesso Pt, Partido dos Trabalhadores sono al potere dal 2002.
Cosa succederà ora? È finito il sogno di una alternativa al neoliberismo globale? Tornerà a dettare le sue regole l’economia di mercato? La speculazione finanziaria si prenderà gioco della regione? Fare previsioni è impossibile.
Collochiamo allora questi eventi in una prospettiva a lungo termine che parte dalla fine degli anni ’60 con il rallentamento dell’espansione capitalista del dopoguerra. Richard Nixon ne prende atto e rompe unilateralmente gli accordi di Bretton Woods sanciti nel 1948 per dare stabilità all’economia mondiale con il dollaro come moneta di riferimento per gli scambi internazionali (1 oncia 35$). Crollano i parametri che regolano il valore della moneta e inizia un periodo inflattivo. Era necessaria una nuova struttura, un nuovo modello per regolare il valore del denaro. Prima il Cile e poi l’Argentina, sotto le dittature di Augusto Pinochet e Jorge Videla a metà degli anni ’70, si sono trasformati in veri e propri laboratori dove mettere alla prova il modello di Milton Friedman subito poi esportato nel 1980 a nord, negli Stati Uniti con Ronald Reagan e nel Regno Unito con Margaret Thatcher. Ecco il nuovo ordine mondiale sancito dal Washington Consensus e assunto dalle organizzazioni finanziarie internazionali. In America Latina cominciava un periodo di apertura al mercato globale, segnato dalle privatizzazioni, chiusura delle fabbriche, disoccupazione e impoverimento generale. Anni che successivamente saranno definiti la decade persa (la decada perdida) e che avranno il suo culmine con la crisi finale che portò l’Argentina al fallimento nel dicembre 2001. Questo default segnò per la regione uno spartiacque, era necessario cambiare modello per non fare la fine dell’Argentina, primo della classe nell’applicazione delle ricette di Washington.
La discontinuità con il passato si manifestò coralmente dieci anni fa, nel 2005, quando a Mar del Plata l’America Latina ha detto di no al ALCA, il Trattato di libero scambio delle Americhe. Per la prima volta un’area, tradizionalmente sotto il dominio degli Stati Uniti, riusciva a far valere la sua volontà sovrana. Il rifiuto, nato nel 2001 sotto le macerie del fallimento dell’Argentina, fu la pietra miliare sulla quale fu costruita l’unità con politiche post neoliberiste. Con diverse modalità di risposta, un gruppo di paesi si è opposto alle pressioni di George Bush di estendere il libero mercato dall’Alaska alla Terra del Fuoco. Oltre ai paesi c’erano anche un gruppo di leader tra cui Hugo Chávez, Néstor Kirchner, Luiz Inácio Lula da Silva, e poi arriveranno i vari Evo Morales, Rafael Correa e Pepe Mujica che hanno riaperto e ripreso il progetto dell’unità latinoamericana.
Oggi la regione non è più sottomessa alle varie dittature militari del secolo scorso. In Argentina è la prima volta che la destra arriva al governo senza un golpe. Salvo l’Honduras e il tentato golpe in Venezuela non si sono più registrati tentativi di rovesciare governi democratici e questo è un grande successo. Ma non possiamo credere che ora tutti siano diventati democratici. Occorre chiedersi con quale modalità vengono oggi difesi gli interessi degli Stati Uniti che prima si imponevano attraverso i militari? Come si applica oggi la dottrina Monroe?
Ora la punta di lancia sono i media, la costruzione della realtà è diventata la priorità per gestire il potere. Nella fusione tra potere economico finanziario e mediatico si concentra la supremazia globale che riesce ad imporre la propria volontà senza colpo ferire nel sonnambulismo del quotidiano. Siamo ormai lontani dall’idea dell’indipendenza dei media. In questa fase del capitalismo finanziario il controllo dell’informazione si traduce direttamente in ricchezza. Il valore è costruito o distrutto attraverso il gioco di rispecchiamenti e auto conferme tra grandi gruppi mediatici. È diventato così facile generare instabilità, inflazione, insicurezza e allarmi che tornare ai vecchi colpi di Stato può essere anacronista.
Nell’ultimo decennio l’America Latina è stata l’unica regione al mondo dove è diminuita la disuguaglianza, dove il coefficiente di Gini, la distanza tra ricchi e poveri, è diminuito. Lo Stato ha ripreso un ruolo centrale, ha nazionalizzato o controllato alcune aziende privatizzate, ha aumentato la spesa in ricerca, educazione e salute, ha difeso i diritti umani e l’occupazione. Sostenere queste politiche dopo la crisi del 2008 non è stato facile. Anche se non ebbe un effetto immediato, la contrazione mondiale finì per colpire anche i paesi emergenti. Precipita l’economia del Brasile, locomotiva regionale. Crollano i prezzi delle comodities, per il Venezuela crolla il prezzo del petrolio, per l’Argentina quello dei cereali. I governi che, per ammortizzare la crisi globale, hanno investito sostenendo le politiche sociali e l’attività economica attraverso l’intervento dello Stato hanno man mano diminuito le proprie riserve, mentre il rallentamento dell’economia globale faceva calare esportazioni e introiti.
Arrivati a questo punto le destre, in modo disordinato, si fanno avanti. Hanno generato le condizioni per riprendere in mano anche le redini dello Stato.
Nello scacchiere globale l’America Latina è un’area pacifica e senza grandi conflitti. Si apre ora una stagione di grande conflittualità sociale. La mobilitazione popolare non cederà né arretrerà sulle conquiste degli ultimi anni. La Storia non conosce la parola fine.