Corriere 8.12.15
L’altra sfida dell’Anno Santo: le tensioni interne alla Chiesa La percezione Il pontificato di Bergoglio ha reso datato il legame con Roma e il Vaticano, dando al cattolicesimo un significato globale e «sudista»
C’è un appuntamento meno solenne ma più intrigante di quello odierno, che servirà a capire come verrà declinata la misericordia papale: il discorso che Jorge Mario Bergoglio rivolgerà il 21 dicembre alla Curia. L’anno scorso, Francesco elencò le «quindici malattie» che fiaccano e corrompono l’amministrazione della Santa Sede, lasciando di stucco i presenti; e confermando la volontà di promuovere la sua riforma, forte soprattutto del proprio rapporto con le folle. Questa volta, in Vaticano ci si prepara all’incontro con una punta di discutibile ironia, promettendo di «indossare i giubbotti antiproiettile»: non contro i terroristi dello Stato islamico ma per proteggersi dalle parole del Papa. Per paradosso, in questa fase il timore di attentati è meno acuto di una nuova reprimenda di Jorge Mario Bergoglio: nonostante Roma sia una città blindata per il timore di attacchi. Il primo Giubileo che si apre in un contorno di guerre, e con uno scandalo di documenti rubati sullo sfondo, in realtà finisce per riproporre anche le tensioni presenti nella Chiesa cattolica. L’apertura della Porta Santa, questa mattina in piazza San Pietro, sarà dunque la metafora di altre sfide, fino al 20 novembre del 2016: una porta dopo l’altra, senza poter prevedere quale rappresenterà l’incognita più inquietante, o più promettente.
Quando Francesco ha deciso in totale solitudine il Giubileo straordinario, ha implicitamente rivendicato il suo potere di governo: proprio lo stesso che gli viene contestato a bassa voce, e che il Pontefice argentino tende spesso a minimizzare, se non a disconoscere. E uno degli obiettivi che si propone sembra quello di consolidare e radicare lo stile e le parole-chiave del papato nelle file di un cattolicesimo in parte entusiasta, in parte disorientato dal profilo di Bergoglio: soprattutto nelle file ecclesiastiche. La scommessa del Papa non è solo di riempire di pellegrini le piazze, ma di fare tornare la gente nelle chiese e alla religione cattolica.
Il compito è ben più arduo del primo, anche per i cattivi esempi che una minoranza dà, propagando lo scetticismo e la ripulsa verso l’istituzione religiosa; e dilatando lo iato tra una figura papale credibile e positiva, e una Chiesa che mostra qualche affanno a stare al passo con lui. È probabile che l’analisi contenga una dose di verità e di luoghi comuni; eppure, è quella prevalente. Si salda con la percezione di un pontificato che ha costruito e continua a gettare mille ponti. Ma in parallelo ha reso instabile e datato il legame con Roma e il Vaticano, dando al cattolicesimo un significato globale e «sudista»; e, se l’aggettivo è tuttora utilizzabile, «terzomondista».
Non dipende tanto dal fatto che le prime tre nazioni a maggioranza cattolica sono Brasile, Messico e Filippine, visto che come quarta e quinta si trovano Usa e Italia. Sono l’identità latino-americana del Papa e la dinamica del Conclave del 2013 a connotare la misericordia di Bergoglio. La coincidenza temporale con il cinquantesimo anniversario della fine del Concilio segna la volontà di marcare una continuità che alcuni mettono in dubbio; e di riprendere una spinta frenata dalla crisi dell’Occidente. Per questo, sarà interessante vedere quale Chiesa riemergerà il 20 novembre del 2016, alla chiusura del Giubileo: costituirà l’eredità di Francesco.