mercoledì 2 dicembre 2015

Corriere 2.12.15
Il salto di qualità del terrore praticato dall’isis
Gli attentati di Parigi hanno impresso un cambio di paradigma
L’influenza del Califfato è più estesa del previsto: sfrutta il nuovo nichilismo e i disastri post coloniali
La violenza non è più strategica (con un preciso obiettivo politico) ma sistemica
di Francesco Maria Greco


L a prima cosa che colpisce dopo gli attacchi di Parigi è la sbalorditiva rapidità con cui gli attentati hanno impresso un cambio di paradigma alle analisi più recenti sull’Isis ed evidenziato un suo salto di qualità nel pianificare e proiettare terrore a grande distanza . Fino a qualche mese fa era opinione comune, malgrado le dichiarazioni e le misure di cautela, che l’Isis non rappresentasse in fondo un pericolo esistenziale per l’Occidente e che il suo impatto sarebbe stato circoscritto alla sfera geografica musulmana. Nonostante le sue minacce di atti terroristici su larga scala contro i nostri Paesi, si ritenevano più probabili azioni perpetrate da lupi solitari come nel caso di Charlie Hebdo in gennaio o a Lione nel giugno scorso. Si pensava comunque che l’Isis, grazie alla sua consumata abilità comunicativa, tendesse ad attribuirsi la paternità di atti di violenza magari organizzati localmente e con un limitato raccordo con il Comando centrale. Si faceva un distinguo fra le capacità militari di tipo simmetrico a partire dalle prime vittorie nel giugno 2014 e una scarsa attitudine alla guerra asimmetrica a distanza, condotta finora da piccoli gruppi spontaneisti privi di una vera direzione strategica. Era stata già in sé un’amara sorpresa verificare come quel gruppo relativamente esiguo di militanti avesse sbaragliato l’esercito iracheno conquistando Mosul, seconda città del Paese, poi Tikrit e quindi occupando in Siria e nell’Iraq nordoccidentale un territorio vasto quanto la Gran Bretagna. Sembrava il preludio del disfacimento delle frontiere e degli Stati che videro la luce un secolo fa, la cui storia è stata contrassegnata perlopiù da regimi autocratici, economie disastrate, oppressione politica. E tuttavia si è continuato a ribadire che Isis andava realisticamente e semplicemente contenuto: colpisce oggi l’affermazione di Obama «il combattente riluttante» secondo cui l’Isis è una minaccia reale e la Nato e gli Usa devono agire per indebolirlo e distruggerlo. La lezione di Al Qaeda non è stata sufficiente: non bastarono i due grandi attentati del 1998 contro le ambasciate americane in Kenia e in Tanzania, ci volle l’attacco dell’11 Settembre per mobilitare gli Usa contro le roccaforti di Osama Bin Laden in Afghanistan e Pakistan.
Il secondo aspetto che emerge è l’acuirsi del dibattito fra chi sostiene che l’autoproclamato Califfato abbia vere radici nella tradizione musulmana e chi controbatte che ha solo sequestrato una religione pacifica e distorto il messaggio coranico. A parte la risposta di Thomas Friedman a chi lo accusava di islamofobia dopo l’attacco alle Torri Gemelle («non tutti i musulmani sono terroristi ma tutti i terroristi erano musulmani»), resta il fatto che una religione non può esser giudicata solo dai Testi ma dai comportamenti di tutti i suoi fedeli: dalle azioni, dalle affermazioni e dai silenzi. Le autorità francesi convivono con il terrorismo ininterrottamente dalla metà degli anni 90 per l’appoggio di Parigi al colpo di Stato algerino contro gli islamisti del Fis: l’antiterrorismo è diventato dunque una parte istituzionale dell’azione di governo alla stregua della lotta alla criminalità o ai disastri naturali. Eppure la Francia ha fallito nel contrastare una violenza che non è più strategica (con un preciso obiettivo politico) ma sistemica (sparare nel mucchio) e questo fallimento non è solo l’incapacità di scovare i potenziali assalitori ma tocca anche la comunicazione: nel contrasto fra chi demonizza l’Islam e chi vittimisticamente lo difende, i musulmani sono stati spesso dipinti come una «realtà speciale», o come mostri o come martiri. Il modello francese di integrazione ha funzionato solo sul piano legale, ma non sulla autopercezione dei musulmani: ci sono ancora troppi che non si considerano cittadini francesi a parte intera e si rifugiano nella violenza come terapia contro la delusione e la rabbia sociale. Ed è in questa idea della particolarità musulmana che il nichilismo della distruzione e della «bella morte» possono attecchire .