Corriere 27.12.15
La lingua di Dante nata a tavolino
Più di un poeta: diede un’unica voce agli italiani e, attraverso quella, un’identità nazionale
di Ida Bozzi
Non sono soltanto motivi di ovvia cronologia a porre Dante Alighieri
(1265-1321) al principio di un’organica storia della letteratura
italiana. Nell’anno del 750° anniversario della nascita, pare necessario
ricordare che Dante non è stato solamente in senso stretto il primo
grande poeta italiano: il valore storico della sua figura si affianca a
quello linguistico, decisamente irripetibile, e a quello simbolico, che è
stato non meno importante, specie in particolari momenti di svolta che
il Paese ha conosciuto. Insomma, l’Alighieri ha fatto così tanto per la
nostra letteratura, ma anche per la nostra identità culturale, che il
primo posto gli spetterebbe in ogni caso di diritto: e infatti proprio
con il volume dedicato al grande fiorentino si apre la collana di Storia
della letteratura italiana che accompagnerà nelle prossime settimane in
edicola il «Corriere della Sera».
Ce ne parla Enrico Malato, grande studioso e specialista dantesco che ha
ideato il progetto complessivo di questa Storia , monumentale opera
critica originariamente composta per Salerno editore e ora proposta in
una collana divisa per monografie che parte appunto con Dante e via via
presenta personalità e temperie di tutta la nostra storia letteraria,
fino ai Pascoli e ai Carducci dell’altroieri e ai Gadda e Calvino di
ieri.
«Intanto va detto che questa Storia della letteratura italiana — spiega
Malato — nasce come un affresco complessivo che propone tutto il tessuto
culturale dei diversi momenti storici. È un’opera realizzata secondo un
castelletto ben preciso: ogni curatore ha avuto una scaletta
rigorosissima alla quale si è dovuto attenere, in un progetto concepito
quindi unitariamente. Per ciascun autore o momento letterario, infatti,
prima di tutto bisogna illuminare il contesto storico. Poi occorre
definire il profilo biografico della personalità analizzata, quindi
focalizzare l’analisi sulle diverse opere. In questo modo si dà conto
della civiltà letteraria, perché io preferisco parlare di civiltà che di
cultura letteraria, che è il tratto davvero identificante del nostro
Paese».
Al poeta fiorentino della Commedia è dedicato il primo volume, curato
appunto da Enrico Malato: qui si illustra il quadro complessivo
dell’epoca, si analizzano la vita e l’opera nel suo complesso, si
illustrano gli elementi fondamentali del contesto, ed emerge
l’importanza della figura dantesca. Bisogna pensare che la grande
attenzione riversata in questi anni sulla Commedia, con le letture, i
reading e le maratone nei teatri, nelle piazze e in televisione, mettono
in luce soprattutto il nostro legame emotivo con il grande poema, la
bellezza della sua poesia, il suo peso teologico e filosofico,
l’immaginazione senza limiti, la perfezione dello schema. Ma c’è altro
per cui amare il sommo poeta.
«La cosa geniale di Dante — chiarisce Malato — è che lui ha l’intuizione
della lingua italiana che verrà. Era una scommessa e l’ha vinta, e ha
visto molto lontano. Bisogna pensare che all’epoca già si scriveva in
volgare, ma soltanto le piccole cose, le novellette, qualche poesia. Il
volgare non pareva una lingua in grado di concepire grandi opere del
sapere. La costruisce lui. Costruisce la lingua italiana praticamente a
tavolino, inventandola passo per passo, e tra l’altro coniando centinaia
e centinaia di neologismi». Ne fa una lingua, insomma, e una lingua
capace in sostanza di ogni complessità: del tono basso, degli argomenti
medi della vita quotidiana, così come della poesia più sublime e delle
altezze vertiginose del pensiero più alto. La crea e la plasma.
«Ma in più — aggiunge il curatore — la rende anche unica in Europa.
Perché? Bisogna pensare a tutte le altre lingue europee: nelle aree che
poi saranno l’Inghilterra, la Francia, la Spagna, il volgare che diventa
lingua nazionale lo fa in tutt’altro modo, e cioè attraverso
l’imposizione, sotto la pressione di una conquista militare o
strategica, e quando nel Cinquecento le lingue nazionali subiranno una
grande trasformazione, noi saremo già trecento anni avanti! La lingua
italiana è l’unica plasmata sostanzialmente a tavolino, e imposta non
per la pressione militare o la conquista, o per il prevalere di una
dinastia sull’altra, di un volgare sull’altro, ma perché il prestigio e
la fortuna dell’opera dantesca erano veramente enormi. Dante vide
giusto, con consapevolezza, per il futuro: nel De vulgari eloquentia
Dante parla già (in latino) di una “casa degli italiani”, in un’epoca in
cui sul territorio del nostro Paese c’erano 300 staterelli e stati,
alcuni grandi come regioni, altri piccoli come città. Lui capisce che
c’è una comunità di sentimento».
Ecco perché costruire una storia della letteratura italiana significa
dare una definizione della nostra identità culturale, prosegue Malato:
«La lingua è il nostro tratto identificativo, e la dobbiamo a Dante».
Poi la storia della letteratura continua, e le vicende della civiltà
italiana sono un caleidoscopio di scoperte. «Pensiamo a Petrarca. Se
Dante ha scritto il grande poema, e nonostante i molti imitatori resta
inimitabile, anche Petrarca ha avuto un’importanza grandissima nella
nostra letteratura: ha avuto dietro al suo Canzoniere uno sciame di
almeno 300 anni tra imitatori e influenze sulla poesia. E il
Quattrocento? È l’epoca in cui torna in auge quale lingua culturale il
latino, lingua dell’Umanesimo ma anche, in parte, lingua della scienza. E
così via. I curatori dei singoli volumi di questa storia della
letteratura sono tutti massimi specialisti di ciascun autore, e offrono
in modo molto aperto e molto ampio una visione complessiva dell’epoca
considerata. In modo da spiegare che cosa noi siamo oggi, da dove sorge
la nostra identità».
Un’identità fortemente incarnata però proprio nella figura d’apertura,
nel primo poeta italiano, come conclude il docente: «Proprio quest’anno
abbiamo celebrato il 750° anniversario della nascita di Dante. Ma ci fu
un momento in cui queste celebrazioni ebbero un potente significato
simbolico: l’Unità d’Italia si compì nel 1860-61 ma, quando nel 1865 si
celebrò l’anniversario della nascita del poeta, Trieste, Trento, Verona e
altre città erano ancora in mano agli austriaci. E così partecipare in
quelle città alle grandi celebrazioni dantesche significava celebrare
l’Italia. E perfino oggi, non è finita qui: l’Alighieri è tuttora uno
dei poeti più studiati al mondo, la cosa incredibile è che a 750 anni
dalla nascita, ancora escono su di lui e le sue opere circa 1.000-1.500
libri all’anno, io stesso sto lavorando a un saggio in cui, ancora,
qualcosa di nuovo sul poeta viene scoperto».