giovedì 24 dicembre 2015

Corriere 24.12.15
Cassa integrazione extralusso per diecimila piloti e hostess
La svolta annunciata Per il 2016 era previsto il taglio dell’indennità. Ma il provvedimento è ancora fermo
Il privilegio va verso il rinnovo. È finanziato con la tassa su tutti i biglietti
di Gian Antonio Stella


«È Natale, è Natale / si può fare di più…». Il celebre motivetto di uno spot natalizio non vale però per tutti. Più di così ai dipendenti Alitalia non si può proprio dare. Il governo, infatti, sta per donare loro l’ennesima proroga alla cassa integrazione extralusso. E undici anni dopo il primo accordo sul «fondo volo» non c’è Babbo Natale più generoso in tutto il pianeta.
Su un punto però quella canzoncina di Alicia dedicata a un pandoro ha ragione: «A Natale puoi fare quello che non puoi fare mai…». Esatto: era già successo l’anno scorso, sta per succedere di nuovo. Mentre gli italiani sono distratti dagli acquisti, dai regali, dai cenoni…
Ma partiamo dall’inizio. Da un’agenzia Ansa titolata «Alitalia: attivato fondo integrativo a cassa integrazione» del 21 aprile 2006. Quasi dieci anni fa. Diceva: «È operativo il Fondo speciale per il trasporto aereo che consentirà, tra l’altro, l’integrazione del reddito del personale Alitalia in cassa integrazione». E precisava che questo fondo era previsto da una legge del 2004 e che operava «presso l’Inps senza oneri per la finanza pubblica». Una promessa cara a Berlusconi: mai le mani nelle tasche degli italiani.
Come sia andata si sa. Lo ricordava nove mesi fa un dossier Inps. Che spiegava come il «salvataggio» della compagnia aerea (costato agli italiani quattro miliardi di euro e fortissimamente voluto dall’allora Cavaliere) aveva ancora agli inizi del 2015 uno strascico di quasi diecimila cassintegrati. Dei quali 152 benedetti da un assegno mensile tra i dieci e i ventimila euro e «casi limite in cui la prestazione si avvicina ai 30 mila euro lordi al mese». Cifre stratosferiche per tutti gli altri lavoratori, sottoposti per la cassa integrazione a un tetto massimo di 1.168 euro.
Come ricostruiva il dossier, infatti, decenni di privilegi concessi dalla compagnia di bandiera (uno per tutti: perfino dopo la riforma Dini piloti e personale di volo ebbero per qualche tempo la possibilità di andare in pensione a 47 anni con 23 di contributi) erano sfociati in un trattamento «deluxe» anche nello stato di crisi. Per capirci: i cassintegrati delle varie compagnie aeree in crisi (nella stragrande maggioranza Alitalia) possono contare sull’80% «della retribuzione comunicata dall’azienda all’Inps al momento della richiesta del trattamento integrativo, fino ad un massimo di 7 anni». Sette lunghissimi, interminabili anni.
Risultato: a dispetto delle promesse («senza oneri»…) la «cassa» era stata alimentata, per fare fronte al salasso, con un pubblico balzello pagato da ciascun passeggero aereo (di tutte le compagnie, anche quelle straniere) atterrato o decollato in un aeroporto italiano. Un euro, all’inizio. Poi due. Poi tre. Su tutti i biglietti. Dal low cost da pochi spiccioli al più lussuoso business intercontinentale. Di fatto, una soprattassa scaricata sui conti di tutti.
Soprattassa indispensabile: una tabella dell’Inps sulle fonti di finanziamento del «fondo» mostra infatti che dal 2007 al 2014 la quota fornita dalle aziende e dai lavoratori del settore (già bassissima) è via via scesa al 4% mentre i proventi della gabella sui biglietti sono saliti al 96%. «Un pilota che percepisce un salario mensile di 10.000 euro, di cui circa 4.000 euro di indennità di volo, versa al Fondo un contributo di 7,5 euro mensili». Una miseria. Compensata, in caso di cassa integrazione, da un assegno mensile di circa 8.000. Fate voi i conti.
Insomma, era così ingiusto questo sistema finanziato ogni anno, attraverso il balzello sui ticket, con duecento milioni di euro (e spesso di più) e complessivamente costato in pochi anni a tutti noi oltre un miliardo e mezzo, che da tempo, per usare un verbo amato da Matteo Renzi, era stato deciso di «svoltare». Col passaggio il primo gennaio 2016 dal Fsta (Fondo Sostegno Trasporto Aereo) a un Fondo di Solidarietà meno «privilegiato». E cioè sostenuto, come gli altri «fondi» di questo tipo, dai versamenti delle aziende e dei lavoratori. Altrimenti, spiegava l’Inps di Tito Boeri, «il Fsta diverrebbe l’unico fondo di solidarietà alimentato prevalentemente da proventi a carico della fiscalità generale».
Tutto chiaro? Macché. A una settimana dalla scadenza, la bozza del decreto attuativo che dovrebbe portare all’agognata «svolta» galleggia ancora da qualche parte tra i ministeri del Lavoro, dell’Economia e dei Trasporti ma alcune cose (salvo sorprese) vengono date per scontate. E cioè che forse l’Inps avrà qualche potere in più nella gestione (oggi il comitato è totalmente autoreferenziale) ma l’eccezione al tetto di 1.168 euro resterà intatta e comunque il «fondo» continuerà a venire alimentato ancora dal balzello sui ticket aerei, che scenderà sì a due euro e mezzo (per poi calare ancora negli anni futuri fino a 2,34 nel 2018) restando però il «pozzo» principale al quale attingere. Tanto che con la soppressione della gabella nel 2019 (campa cavallo…) il «fondo» non sarà più sostenibile. Sempre che, si capisce, non arrivi fra quattro anni una nuova proroga. Magari sotto Natale.