mercoledì 23 dicembre 2015

Corriere 23.12.15
I regimi arabi visti da noi. Due pesi e due misure
risponde Sergio Romano


Mi saprebbe dire quali sono le vere colpe di Bashar al-Assad? Dall’alto delle nostre pregiudiziali democratiche, molti occidentali lo ritengono il responsabile di quanto sta avvenendo in Siria. Inclusa la presenza e la diffusione di quel «male assoluto» qual è il Daesh. Ma è davvero così? L’essere divenuto accidentalmente il successore del padre (suo fratello maggiore morì in un incidente) ne ha davvero fatto un criminale? Non essere riuscito a cambiare un regime dittatoriale in qualcosa di simile a una democrazia lo rende impresentabile? Non ne prendo le difese, ma perché Assad sembra essere diventato l’erede criminale di Saddam e di Gheddafi? I suoi 15 anni trascorsi al comando di uno «Stato canaglia» non credo proprio siano stati oggettivamente facili.
Mario Taliani

Caro Taliani,
Il regime della famiglia Assad in Siria non è molto diverso da quello che fu creato da Nasser in Egitto, Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia. I fattori e la sequenza degli eventi sono quasi sempre gli stessi. La prima classe dirigente post-coloniale è spesso inetta, mal servita da una pubblica amministrazione mediocre, incapace di affrontare il problema israeliano e quelli da cui dipende lo sviluppo del Paese. La generazione successiva comincia a dare segni di impazienza. I giovani che hanno scelto la carriera militare, e possono contare sull’obbedienza dei loro soldati, organizzano un colpo di Stato, si sbarazzano delle vecchie oligarchie e scoprono molto rapidamente che la democrazia parlamentare è difficilmente realizzabile in Paesi dove le lealtà tribali e religiose sono più importanti di quelle dovute allo Stato e alle sue istituzioni.
Dopo avere conquistato il potere, desiderano soprattutto conservarlo. Esiliano o mettono in carcere i critici e gli oppositori. Si circondano di uomini appartenenti alla loro famiglia allargata e preparano i figli alla successione. Non sono privi di aspirazioni riformatrici e hanno ambiziosi progetti per un futuro modellato sulle società occidentali, ma si scontrano con gruppi religiosi, fra cui la Fratellanza musulmana, che li accusano di tradire così la Sharia e la lettera del Corano. Con questi, in particolare, sono durissimi. Nasser condannò a morte il loro leader; Hafez Al Assad, padre di Bashar, ne fece uccidere parecchie migliaia a Hama, una città fra Damasco e Aleppo, nel 1982; Gheddafi li perseguitò in Cirenaica.
Le potenze occidentali stanno a guardare e i criteri a cui si attengono sono, grosso modo, questi. Se un regime arabo è disposto a forme di collaborazione politico-militare, possiede risorse utili all’economia di mercato o è nemico di uno Stato che l’Occidente considera peggiore, l’Europa e gli Stati Uniti chiudono un occhio e si astengono da qualsiasi interferenza. Se il regime persegue politiche giudicate pericolose per gli equilibri della regione o (come nel caso della Siria) stringe rapporti di forte collaborazione con uno Stato che molti in Occidente considerano potenzialmente nemico, le democrazie occidentali salgono in cattedra e pretendono il rispetto dei valori e dei diritti che sarebbero patrimonio delle società avanzate.
Mi sembra, caro Taliani, che il caso della Siria rientri in questa categoria. Bashar Al-Assad è probabilmente un riformatore fallito, incapace di strappare la rete degli interessi familiari e clientelari che hanno governato il Paese per molti anni. Ma non è certo peggiore del padre Hafez e ha avuto il grande merito di avere tutelato, durante la sua presidenza, la libertà di culto di tutte le chiese cristiane presenti in Siria da molti secoli.