venerdì 18 dicembre 2015

Corriere 18.12.15
Banca Etruria
Immobiliari e outlet: ecco le aziende amiche «in conflitto di interessi»
di Fiorenza Sarzanini


AREZZO C’è l’azienda che si occupa di compravendita di immobili e quella che fabbrica arredi domestici. C’è la ditta specializzata nelle attività gestionali e quella che installa macchine per uffici. Tutte inserite nella lista che adesso fa tremare gli amministratori di Banca Etruria. Perché sono le società che avrebbero ottenuto fidi da milioni di euro «in conflitto di interessi», dunque «fuorilegge». Beneficiarie dei finanziamenti che poi hanno gravato sul bilancio perché «deteriorati», generando perdite per 18 milioni di euro. Tutte riconducibili all’ex presidente del Cda Lorenzo Rosi oppure all’ex consigliere Luciano Nataloni, per questo già indagati nell’inchiesta condotta dal procuratore Roberto Rossi. Sono quindici ed è proprio sul legame con l’Istituto di credito che si concentrano adesso gli accertamenti affidati alla Guardia di Finanza. Controlli sollecitati dagli ispettori di Bankitalia nella relazione depositata il 10 febbraio scorso che determinò il commissariamento e che adesso provocherà nuove sanzioni ai componenti del Cda all’epoca guidato proprio da Rosi e dal vicepresidente Pierluigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena.
Le lista e gli «intrecci»
Nel dossier sulla terza ispezione, i funzionari di palazzo Koch individuano tra i problemi che hanno causato il dissesto proprio numerose pratiche di finanziamento. E tra l’altro scrivono: «Non è stata approfondita la convenienza della banca nel compiere le operazioni, né effettuato un confronto tra le condizioni applicate e quelle di mercato». Poi elencano le situazioni anomale e dichiarano: «Come è emerso dalla documentazione delle pratiche di fido relative al campione ispettivo, le sopra citate carenze rilevano a vario titolo, in particolare, per il dottor Nataloni e per il dottor Lorenzo Rosi».
Al primo sono riconducibili la Immofin srl nel settore alberghiero; la Td Group spa «specializzata nell’installazione di macchine per ufficio, mainframe e personal computer»; il Gruppo Casprini per la «compravendita di beni immobili effettuata su beni propri»; la Etruria Investimenti spa «esercente l’attività di costruzioni di edifici residenziali e non». A Rosi fanno invece capo la Città Sant’Angelo Outlet Village spa «esercente l’attività di affitto di aziende»; la Castelnuovese cooperativa per la «costruzione di edifici residenziali e non». Insieme figurano invece nella Città Sant’Angelo Sviluppo spa per la «compravendita di beni».
Le verifiche effettuate dal Nucleo Tributario consentono però di allungare questo elenco inserendo anche altre aziende collegate. E dunque le verifiche sono state estese a «Cd holding srl», «Cdg srl», alla «Praha Invest srl», tutte nel settore immobiliare; alla «Naos srl» che fabbrica mobili e alla «Gianosa srl» specializzata nelle attività gestionali.
L’affare degli outlet
Snodo centrale per ricostruire gli affari compiuti con i soldi di Banca Etruria è la «Castelnuovese» di cui Rosi è stato presidente fino a luglio 2014. È stato infatti accertato che proprio quella ditta ha costruito a Pescara l’outlet Città Sant’Angelo, destinatario di un ulteriore finanziamento.
Un fido che risulta «incagliato». La costruzione e la gestione degli outlet sembra essere ormai diventata la nuova attività di Rosi, amministratore unico della «Egnatia Shopping Mall» dove figurano tra i soci proprio la «Castelnuovese» mentre il socio di riferimento è la «Nikila Invest», a sua volta titolare di una quota del 40 per cento nella «Party srl»: socio è Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, mentre la madre Laura Bovoli è amministratore unico.
È proprio questo intreccio tra aziende diverse, in realtà collegate, che la Guardia di Finanza dovrà sbrogliare per individuare le responsabilità di un dissesto che ha portato Banca Etruria sull’orlo del fallimento. Ma anche per ricostruire la procedura seguita al momento di immettere sul mercato le obbligazioni poi diventate prive di valore quando il governo, a fine di novembre, ha approvato il decreto che ha «salvato» quattro istituti di credito.
Operazioni di investimento ad alto rischio che secondo la magistratura di Arezzo e di Civitavecchia — titolare del fascicolo sul suicidio del pensionato Luigi D’Angelo — potrebbero essere state concluse truffando numerosi clienti. Piccoli risparmiatori che non sono stati adeguatamente informati di quanto fosse alta la possibilità di perdere il capitale.