venerdì 18 dicembre 2015

Corriere 18.12.15
Pompei, la strada è giusta ma troppe domus sono a rischio
L’attenzione si è concentrata su interventi importanti però non è detto che siano quelli più urgenti da realizzare
Ci sono 1.500 abitazioni in condizioni precarie, tutte ancora da valutare perché la loro verifica è stata messa in secondo piano
di Roberto Cecchi
Già Segretario generale del ministero per i Beni e le Attività Culturali e Sottosegretario di Stato


Caro direttore, sulla storia infinita di Pompei bisogna intenderci. Va benissimo essere messi a conoscenza,come è accaduto in questi giorni, sullo stato d’avanzamento dei lavori del Grande Progetto ( Giornale dell’Arte 359/2015). È importante sapere che l’intervento è passato dagli originali 105 milioni a 159,8 per effetto di economie.
Fa piacere sentir dire che nel frattempo i cantieri terminati sono 20 e 29 sono in corso di realizzazione. Ed è anche importante che si sia messo a punto il sistema di sorveglianza di tutta l’area per 3,8 milioni di euro. Benissimo anche venire a conoscenza che ci sono dei nuovi assunti come archeologi, architetti, ingegneri, amministrativi. Una bella differenza da quando c’era un solo archeologo per tutta l’area. Ottimo anche il fatto che si riesca a non perdere i fondi stanziati dalla Comunità europea, perché pare che verrà concessa una proroga di due anni rispetto alla scadenza del prossimo 31 dicembre.
Dunque, tutto bene? Problema risolto? Per capire come stanno davvero le cose van tenuti sott’occhio un paio di numeri. Pompei è un’area archeologica di 66 ettari, 49 dei quali sono scavati e 30 aperti al pubblico. Gli edifici allo stato di rudere valgono poco più di 200.000 metri quadrati, mentre quelli coperti ne occupano 88.000. Le unità edilizie, le domus, sono 1.500, e sviluppano 242.000 mq di superfici murarie. I dipinti si estendono per 17.000 mq e i rivestimenti pavimentali assommano a 12.000 mq.
Son tutti numeri importanti perché danno la misura dell’impegno che si sta affrontando. Ma ai fini del progetto, tra tutti questi numeri, uno è più importante degli altri. È quello delle domus: 1.500. 1.500 edifici che si trovano in uno stato di conservazione più o meno precario. Quasi tutti hanno una salute cagionevole (Carta del Rischio di Pompei 2010). Apparentemente, la scola armatorarum che il 6 novembre 2010 crollò senza dare alcun segno premonitore, non era in condizioni peggiori di altre. Eppure, all’improvviso, è venuta giù anche a causa di condizioni atmosferiche particolarmente sfavorevoli, che han fatto da innesco al collasso di una struttura già di per sé vulnerabile. Quindi, la conoscenza dello stato di conservazione di ciascuna domus è essenziale e avrebbe dovuto essere la parte propedeutica di tutto il progetto. Perché solo così è possibile definire una scala di priorità e decidere il da farsi, tra interventi meno invasivi e costosi, come son quelli di manutenzione ordinaria, ed altri più impegnativi come il consolidamento strutturale. Si è fatto il contrario.
Si è concentrata l’attenzione su una serie d’interventi sicuramente meritevoli d’essere realizzati, ma non si può dire se siano quelli più urgenti, visto che non è dato sapere in quali condizioni è il resto, perché il piano della conoscenza è stato rimandato a dopo.
Stando ai dati pubblicati sul sito (www.pompeiisites.org), un po’ diversi da quelli riportati in una intervista del soprintendente, gli interventi finora sono stati 14, quelli in corso 28. Se nel 2017 si arrivasse anche a farne 70, sarebbe solo meno del 5% del totale delle domus.
Niente di male, se poi rimanesse la possibilità di intervenire su tutta l’area. Ma forse non andrà così. E allora bisogna dire come si farà a garantire che ognuno di questi edifici (talvolta dei veri e propri gioielli) abbia una qualche forma di attenzione e un minimo di cura. Così come bisogna prevedere fin da adesso la manutenzione degli interventi appena realizzati, perché si sa che non ci sono opere definitive, valide una volta per tutte. Per cui, raggiunta una soglia di stabilità accettabile va garantito che l’intervento compiuto mantenga il più possibile quelle caratteristiche nel tempo, evitando di doverci mettere mano di nuovo, con altre opere costose e lesive.
È stato dimostrato che la manutenzione vale una frazione modestissima dell’intervento di restauro, circa il 2% l’anno. Quindi bisogna organizzare un piano per spendere sempre meno garantendo il massimo. Insomma, per Pompei bisogna fare di più e meglio. Non deve essere solo una palestra di interventi più o meno importanti o l’occasione per un esercizio di comunicazione. Deve essere un progetto che dà il segno di come si deve fare qui e altrove. Deve diventare la metafora di come si può e si deve operare in condizioni del genere, per ottenere il meglio al minor costo. E il metodo non è meno importante dei lavori che si realizzano, perché passa di qui la possibilità di far sì che questi beni diventino un’opportunità e un progetto per la comunità, piuttosto che un esercizio di sopportazione. Com’è adesso.