domenica 13 dicembre 2015

Corriere 13.12.15
Il duello in Cassazione sull’elezione del presidente (con l’ombra della politica)
di Giovanni Bianconi


ROMA Quelli che denunciano l’ingerenza della politica sostengono che con una nomina Matteo Renzi ne ha fatte due. Dieci giorni fa ha mandato alla Consob — per coprire un posto vacante da un anno e mezzo — Giuseppe Maria Berruti, uno dei magistrati in pole position per la presidenza della Corte di cassazione, e in questo modo ha spianato la strada per la poltrona di primo giudice d’Italia a Giovanni Canzio, attuale presidente della Corte d’appello di Milano. Un nome di certo non sgradito al premier e al suo partito (c’era persino che voleva proporlo per la Consulta), nonché al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini; particolare non irrilevante, visto che il prescelto diventerà membro di diritto del Csm e lo affiancherà nell’ufficio di presidenza.
Quelli che invece negano l’invasione di campo rivendicano l’autonomia di ogni indicazione, Legnini in testa. E ribattono che per eleggere il primo presidente della Cassazione bisogna guardare a qualità e profili professionali dei candidati, anziché alle sponsorizzazioni politiche, vere o presunte. E se alla fine dovesse toccare a un giudice di alto profilo come Canzio, sarebbe per meriti e capacità dimostrate in 45 anni di carriera, «scrivendo sentenze su cui si sono formate generazioni di magistrati»; altro che interferenze esterne.
È un duello che balla sul filo delle interpretazioni, prima ancora che sulla decisione finale. Il plenum straordinario per il voto definitivo, alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, è fissato per il 22 dicembre, ma tra domani e martedì il vaglio della quinta commissione (competente per gli incarichi direttivi) renderà i giochi più chiari. Tutti interni, per ciò che riguarda i candidati, al gruppo della sinistra politico-giudiziaria che fa capo ad Area, cartello che riunisce Magistratura democratica e Movimento per la giustizia.
Oltre a Canzio sono in corsa, nella stessa fascia d’età, Franco Ippolito (segretario generale della Cassazione al fianco degli ultimi due presidenti, Lupo e Santacroce) e Renato Rordorf, stimato presidente di sezione alla Corte suprema e della Commissione per la riforma del diritto fallimentare. Tutti e tre fanno riferimento ad Area, sebbene Ippolito si sia speso molto di più nella vita associativa e di Md, anche come rappresentante al Csm. L’unico appartenente a una corrente diversa era Berruti, di Unità per la costituzione. Il problema però è un altro. Tutti e tre dovrebbero essere già in pensione, o andarci nel 2016, se a giugno il governo non avesse varato un decreto per lasciarli in servizio un altro anno, «al fine di salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari e garantire un ordinato e graduale processo di conferimento da parte del Csm degli incarichi direttivi che si renderanno vacanti».
In pratica, una norma per assicurare continuità alla guida degli uffici, e sgravare un po’ il Csm che deve procedere a centinaia di nomine. La ratio è chiara e ieri dal coordinamento di Area è emersa l’indicazione di attenersi a questa interpretazione. Ma se Ippolito o Rordorf sono già in Cassazione (il primo in un ruolo centrale sul piano organizzativo, quasi da presidente-ombra, da diversi anni), la scelta di Canzio andrebbe a scoprire la corte d’appello di Milano costringendo il Csm a fare una nomina in più, anziché alleggerirne il carico di lavoro.
Tuttavia il decreto non impedisce ai settantenni «prorogati» di correre per le sedi vacanti, e anche i posti interni alla corte suprema prima o dopo andrebbero colmati. Dunque non può essere questo parametro ad escludere «l’esterno» Canzio, affermano i suoi sostenitori. Fra i quali, dopo l’uscita di scena di Berruti, ci sono i «centristi» di Unicost (sebbene la rappresentante proveniente dalla Cassazione abbia manifestato qualche dubbio). Dalla sua parte ci sono anche i «laici» di centrosinistra, mentre a favore di Ippolito resta Area (anche qui con almeno un’eccezione). La destra del Csm — i «laici» di Forza Italia e Ncd, e i togati di Magistratura indipendente — non hanno ancora espresso posizioni chiare e definite.
Una partita tra giudici sulla quale pesa l’ombra della politica,che siano realtà o congetture i sospetti sulla mossa del governo di sfilare un concorrente dalla corsa per fare spazio a un altro. Ma c’è ancora chi spera in una soluzione unitaria, anche per non mostare un Csm spaccato al cospetto del presidente della Repubblica; che potrebbe verificarsi se il voto in commissione con la netta prevalenza di un candidato inducesse i perdenti a convergere sul vincente .