giovedì 10 dicembre 2015

Corriere 10.12.15
Se le primarie diventano un referendum sul segretario
Lo scetticismo Un Renzi preoccupato anche dallo scetticismo diffuso nel Pd sulla legge di Stabilità e dalla forza delle correnti
di Massimo Franco


Matteo Renzi cerca di accreditare la riunione fiorentina alla Leopolda che comincia sabato come una manifestazione «non di partito». Si comprende la ragione per la quale il premier cerca di accreditare questa tesi: i rapporti dentro il Pd continuano a essere tesi; e la prospettiva delle elezioni amministrative di primavera promette di peggiorarli. Anche per questo è difficile che i suoi avversari avallino la versione renziana. Non a caso manda una lettera ai suoi eletti. «A chi scrive che non facciamo parlare i parlamentari», chiede, «rispondete che la Leopolda è da sempre una casa della politica, non dell’antipolitica».
Il presidente del Consiglio celebra con una certa enfasi il «ritorno alla Leopolda» dopo «avere scalato la montagna della vecchia politica». Sulla vetta nazionale, ci sta saldamente. Ma a livello locale, si profila più di un’insidia. In vista delle primarie del partito si stanno tutti schierando pro o contro la segreteria. Le candidature caldeggiate dal vertice incontrano forti resistenze da Nord a Sud, per non parlare di Roma dove i sondaggi danno responsi devastanti: l’ex sindaco Ignazio Marino rischia di togliere voti a qualunque successore targato Pd. E a Milano, Giuliano Pisapia rivendica le amministrative come «partita assolutamente locale»: un messaggio «al popolo del centrosinistra».
Ma è difficile non vedere anche un altolà a Renzi e al progetto di trasformare la città in un laboratorio elettorale, candidando Giuseppe Sala, l’artefice dell’Expo. Si tratta di uno sfondo che il premier osserva con una punta di fastidio. Vede le «divisioni correntizie», riconosce i «litigi». E vuole archiviarli. Operazione complicata. Il Pd continua ad essere vittima di divisioni quasi tribali. E ostenta un’ubbidienza al segretario-premier contraddetta da critiche crescenti.
Critiche, non sempre disinteressate, al doppio incarico. Ai suoi metodi e alla scelta delle alleanze. Le intese sulle candidature vengono annunciate ma poco dopo risultano tutt’altro che scontate e pacifiche. Ci sono almeno due strategie, e più di due Pd che faticano a coesistere. E si indovina uno scarto vistoso tra quanto si dice a proposito del governo nella cerchia dei fedelissimi, e le perplessità che serpeggiano all’interno della stessa maggioranza.
Renzi si mostra «colpito» dal fatto che «anche i nostri non abbiano ricevuto informazioni corrette sulla legge di Stabilità»: a partire «dalla rivoluzionaria scelta di abbassare le tasse». Non è un’ammissione da poco. Lascia capire o che la «rivoluzione» non è sentita come tale nel Pd; oppure che la comunicazione di Palazzo Chigi fa acqua. La sostanza non cambia: lo scetticismo che Palazzo Chigi imputa ai detrattori, è un sentimento presente nello stesso partito; e indebolisce la narrativa del governo.