domenica 29 novembre 2015

Repubblica La domenica 29.11.15
A lezione di pensiero selvaggio
di Marino Niola


Scandiva le parole con la precisione di un metronomo. Seguiva il filo del discorso in un labirinto di cui conosceva alla perfezione le entrate e le uscite. La sua testa piccola e affilata somigliava a quella di un uccello che punta la preda. Il resto lo facevano la solennità gnomica dei toni e l’eleganza severa dei gesti, che rendevano le lezioni di Claude Lévi-Strauss al Collège de France delle performance intellettuali. Si aveva la sensazione fisica di assistere a un’opera che si produceva davanti ai nostri occhi. E qualche volta sembrava addirittura di sentire il ronzio del pensiero al lavoro.
Lui era tutto il contrario dell’antropologo alla Indiana Jones, quello sempre vestito di avventura. Era invece il più schivo e il più inimitabile dei maestri. Smontava e rimontava mondi lontani con l’acribia di un orologiaio cosmico. Rapito dalla logica incandescente del pensiero selvaggio, passava con la facilità apparente del poeta, dai miti degli indiani d’America allo sciamanesimo siberiano. Dai cacciatori di teste agli psicanalisti, che considerava i nostri riduttori di teste. La sua erudizione, sterminata e preziosa, lo faceva volare tra Montaigne ed Erodoto, tra Baudelaire e Wagner. Ogni volta dinamitava le nostre certezze con una calma olimpica. E con il gusto sottile dell’oscurità. Che è concessa solo ai grandi.