giovedì 5 novembre 2015

Repubblica 5.11.15
Cina-Taiwan, si incrina il muro Ecco il primo storico incontro
I presidenti si vedono sabato a Singapore. Non era mai successo da quando l’isola dichiarò l’indipendenza nel ‘49. Ora crisi economica ed elezioni avvicinano il disgelo
di Giampaolo Visetti


PECHINO La scacchiera del “grande gioco” torna a muoversi. Il presidente cinese Xi Jinping e quello di Taiwan, Ma Ying-jeou, si incontreranno sabato a Singapore, metropoli neutrale ammirata da entrambi. Sarà la prima volta, dal 1945, che i leader delle due sponde dello stretto dell’ex Formosa si stringono la mano e si rivolgono la parola. Pechino, dalla fine della guerra civile, nel ‘49, non riconosce la sovranità di Taiwan, definita «l’isola ribelle». Taipei ha proclamato l’indipendenza e non si considera una provincia della «madrepatria cinese». I due presidenti, per evitare imbarazzi, si rivolgeranno l’un l’altro con il titolo di «signore»: faccia a faccia politico, poi cena insieme. Il vertice, segreto fino all’ultimo, è stato annunciato dalle agenzie di stampa all’improvviso. Con soli tre giorni di anticipo i due governi hanno comunicato che non verranno firmati accordi e che non ci saranno incontri con la stampa, o momenti pubblici.
Ma Ying-jeou spiegherà oggi le ragioni della svolta diplomatica. Le autorità cinesi hanno dichiarato che l’incontro punta a «mantenere la pace e la stabilità nello stretto», avvertendo però che si svolgerà «in base al principio dell’unica Cina». È una condizione che Taiwan non ha mai accettato e che a Taipei ha subito scatenato manifestazioni anti-Pechino. Migliaia di studenti e oppositori democratici si sono riuniti davanti al palazzo presidenziale, chiedendo di annullare il vertice e denunciando che Ma Ying-jeou «vuole svendere in modo subdolo Taiwan alla Cina prima di essere sconfitto».
Il summit è stato fissato a poco più di due mesi dalle elezioni presidenziali del 16 gennaio, a cui dopo due mandati il leader uscente non può partecipare. Ma Ying-jeou otto anni fa riportò al potere il Kuomintang, il partito nazionalista fondato da Chang Kai-shek per opporsi ai rivoluzionari comunisti di Mao Zedong. Dopo la sconfitta e la fuga su quella che nel 1949 ancora di chiamava isola di Formosa, con il tempo il Kuomintang si è riavvicinato a Pechino, sostenendo un’integrazione sempre più spinta con la Cina. In piena campagna elettorale i sondaggi danno però oggi per scontata una vittoria dell’opposizione guidata dal partito democratico, indipendentista e ostile all’espansionismo economico e territoriale di Pechino. Proprio la prospettiva di un tracollo degli alleati del Kuomitang avrebbe suggerito a Xi Jinping l’irruzione sulla scena del voto, che promette di avvicinare ancora di più l’isola agli Stati Uniti e al Giappone. A metà ottobre la candidata democratica Tsai-Ing-wen, ribattezzata la “Hillary Clinton di Taipei” perché può diventare la prima donna presidente del paese, è andata in visita a Tokyo. Pochi giorni dopo la sfidante conservatrice è stata brutalmente sostituita dal presidente del Kuomintang Eric Chu, accusato di aver prima tentato di corrompere la compagna di partito per convincerla a ritirarsi.
Taiwan, dal 2008, è scossa da una crisi economica che non riesce a superare. La scelta di tempo di Xi Jinping servirebbe a porre sul piatto del voto un «patto per la ripresa» con Pechino: per riportare il consenso verso il Kuomintang, o per condizionare l’orientamento dell’opposizione democratica. Già nel 1996 l’allora leader cinese Jiang Zemin tentò di influenzare le presidenziali, spingendosi fino a sparare missili al largo dell’isola, come durante la Guerra Fredda. Il risultato, oltre che uno scontro sfiorato con gli Usa, fu la vittoria schiacciante del partito democratico. Il contesto è oggi del tutto diverso. I sondaggi confermano che il 70% della popolazione continua a sostenere l’indipendenza politica e i diritti garantiti dalla democrazia. La crescita economica della Cina, la crisi che colpisce anche il Giappone, il ridimensionamento dell’influenza Usa nel Pacifico, conquistano però un numero sempre maggiore di taiwanesi alla causa della «riunificazione nazionale ». Xi Jinping e Ma Ying-jeou parleranno di elezioni e di affari, ma il filo conduttore del vertice sarà il futuro del riavvicinamento Pechino- Taipei e lo scontro che in Asia oppone la Cina agli Stati Uniti. La Casa Bianca ha dichiarato ieri di «guardare con favore ai passi intrapresi da entrambe le parti dello stretto per cercare di ridurre le tensioni e migliorare le relazioni». In realtà Washington, legata a Taiwan da un patto di difesa, è in allarme. L’incontro Xi-Ma cade nel pieno della tensione Cina-Usa scatenata dal controllo degli arcipelaghi contesi nel Mar cinese meridionale, tale da spingere il Pentagono a inviare una nave da guerra tra gli atolli artificiali costruiti da Pechino. Fonti dell’intelligence americana rivelano che la corsa al riarmo cinese e le nuove dispute aeree e marittime, servirebbero a «creare le condizioni per un’invasione di Taiwan entro il 2020», scoraggiando interventi stranieri. Lo spettro di una “Crimea asiatica”, con il cinese Xi Jinping nel ruolo del russo Vladimir Putin, agita anche Hong Kong. Nell’ex colo- nia britannica, scossa un anno fa dalla rivolta studentesca contro Pechino, in giugno è stata bocciata la riforma elettorale-truffa imposta dalle autorità cinesi. Le finte elezioni non si terranno, ma neppure il primo voto a suffragio universale, promesso da oltre un decennio. Sia a Taiwan che a Hong Kong i sostenitori della democrazia temono che Xi Jinping, prima di cedere il campo all’esercito per ricostituire il territorio dell’antico impero cinese, cerchi ora di conquistare le enclavi democratiche con il ricatto del business. È un’accusa che a Taipei, nella primavera del 2014, ha scatenato la «rivolta dei Girasoli», unendo studenti e imprenditori contro un accordo commerciale Cina-Taiwan. Sabato, alla vigilia del voto che in Myanmar può proiettare la leader democratica Aung San Suu Kyi alla guida dell’ex dittatura militare, Xi Jinping rompe così l’assedio filo-occidentale e incontra Ma Ying-jeou, ponendo fine ad un gelo lungo 66 anni. Forse, visto lo stallo nella penisola coreana, il primo dei due ultimi “Muri dell’Asia” non cadrà subito: ma non solo tra Pechino e Taipei, questo è certo, si inaugura una stagione nuova.