mercoledì 4 novembre 2015

Repubblica 4.11.15
Minoranza e governatori, il nuovo asse anti-segretario
La mossa del premier: legge di Stabilità per il voto amministrativo
di Goffredo De Marchis


ROMA A Montecitorio gira voce che oggi Matteo Renzi rimetterà 500 milioni nel bilancio delle Regioni sul piede di guerra. Un modo per frenare la protesta e per evitare che il coro dei governatori contro il governo si saldi alle critiche della minoranza del Pd sulla manovra. Basteranno? A giudicare dalle parole di Sergio Chiamparino, no. Ieri il governatore del Piemonte, renziano della prima ora, ha attaccato a testa bassa il premier. Non ritirerà le dimissioni dalla presidenza della conferenza Stato-regioni, non interromperà la dura opposizione ai tagli della legge di stabilità. «Preferisco avere le mani libere dal punto di vista politico per portare avanti le proposte legate alla nuova stagione che si apre. Le mie dimissioni, giovedì chiederò di calendarizzare l’elezione del nuovo presidente».
Chiamparino è seduto su una montagna di debiti, un nuovo sforbiciamento sarebbe un colpo durissimo. Per questo alcuni presidenti di regione hanno raccolto il suo sfogo, la sua ansia di battaglia e persino il proposito di lasciare la carica di governatore se Palazzo Chigi continuerà a essere sordo al suo grido di allarme. E se Renzi, un tempo l’amico sindaco che voleva raggiungere gli standard del collega torinese, insisterà nel non rispondere alle sue telefonate. Oggi le regioni sembrano pronte ad andare allo scontro, malgrado lo sconticino dei tagli che fonti del governo hanno già fatto arrivare alle orecchie dei loro presidenti. Chi è in rosso sulla sanità e sarebbe costretto ad aumentare i ticket o a ridurre i servizi, vuole provocare Renzi fino alla fine. «Diremo al governo di riprendersi la gestione della salute pubblica. Così toccherà a lui fare i tagli e prendersi le responsabilità di togliere le analisi cliniche ai cittadini».
Roberto Speranza dice che la sinistra Pd sposa la battaglia degli enti locali. «Renzi rimetta la Tasi per non cancellare la Tac», ripete con una battuta amara l’ex capogruppo del Pd alla Camera. Il fuoriuscito dal Pd Stefano Fassina ammette che nelle finanziarie ci si è sempre regolati così. «Si annunciano certi tagli, poi in corso d’opera si restituisce qualcosa. Renzi fa ciò che hanno fatto tutti gli altri», sono le parole di Fassina. Ma l’assoluzione finisce qui. «Il dramma per i cittadini è che ogni anno il saldo negativo si allarga e non rimangono più soldi per i servizi ».
Renzi ha intenzione di contrastare l’asse tra regioni, comprese quelle di centrosinistra, e minoranza Pd sostituendo Chiamparino alla conferenza Stato-regioni con un fedelissimo: Stefano Bonaccini. Non con Enrico Rossi, comunque non sgradito, tantomeno con Nicola Zingaretti che il premier non ama e con il quale i rapporti sono gelidi. Bonaccini invece è un governatore molto stimato, con un passato nella componente bersaniana del Pd, ma oggi è un renziano di ferro.
Chiamparino si smarca definitivamente dalle politiche dell’esecutivo. «La situazione non sarebbe così politicamente corretta — ha spiegato motivando la sua scelta — se uno avesse una responsabilità che deve fargli tenere conto delle esigenze di tutti». Certo, il governatore può trovare dalla sua parte dissidenti, Sel, la nuova Sinistra degli scissionisti dem, ma è con i voti del Pd che i presidenti di centrosinistra governano le loro amministrazioni. Alla fine, l’asse può concentrarsi sulla tassa prima casa che con il ripensamento di Renzi porterà nelle casse dello Stato 91 milioni ma allargando la platea dei paganti ai ceti più abbienti arriverebbe a 1,5 miliardi evitando la mannaia sulla sanità. Ma non ci sono margini ulteriori su quel fronte: «Il taglio della Tasi - spiega Renzi - aiuta i pensionati non i ricchi. E noi dobbiamo fare politica nelle periferie non nei salotti buoni». «L’intervento sulla prima casa non è incostituzionale come dice Bersani perché parliamo di tassa non di imposta e la progressività non è contemplata - dice il capogruppo di Sel Arturo Scotto - . Ma è chiaro che la manovra ha un segno elettorale e democristiano nella sua impostazione. Renzi non avrebbe mai colpito le regioni se in primavera si fosse votato per loro anziché per i comuni». Saranno sufficienti 500 milioni per arginare la protesta? Basterà l’incontro di oggi, al quale parteciperà anche il premier, per frenare la rivolta delle regioni e dei loro fiancheggiatori in Parlamento? Renzi sa che è la legge di stabilità la partita sulla quale la sinistra si gioca le sue carte. Per adesso e soprattutto per l’appuntamento delle amministrative.