mercoledì 4 novembre 2015

Repubblica 4.11.15
Quei secondogeniti illegali divenuti fantasmi
Sono i cinesi del limbo, hanno il permesso di vivere ma non di esistere. “Senza un documento- dice Li Xue- non potrò sposarmi. Così cerco di non innamorarmi”
di Giampaolo Visetti


PECHINO Huang Ziyu ha 24 anni e coltiva patate dolci in una serra a nord di Pechino. Ogni alba le carica su un carretto e va a venderle cotte al mercato di Chaoyang. «Vorrei diventare ingegnere — dice — trovare una ragazza, affittare una casa e sposarmi. Sopravvivo solo, dormo nella stalla e spero di morire prima di ammalarmi». È un cittadino cinese, ma per la Cina non esiste. Il partito-Stato lo considera fuorilegge dalla nascita. La colpa di Huang Ziyu è essere nato due anni dopo sua sorella Xiaoying: è un secondogenito, venuto al mondo nell’era della Cina del «figlio unico». Quando la madre si è accorta di essere incinta per la seconda volta, ha dovuto scegliere: o abortire, o far perdere il posto da insegnante a suo marito. Aveva sempre sognato un figlio maschio: il padre di Huang Ziyu è stato licenziato e ha trovato uno stipendio in una miniera di carbone della Mongolia Interna. È morto sedici anni fa, in un incidente. Huang Ziyu non è un caso-limite. Appartiene a un esercito di almeno 6,5 milioni di cinesi che hanno il permesso di vivere, ma non quello di esistere. Sono i cinesi del limbo, un corpo di reato, i figli minori generati violando la pianificazione famigliare imposta 37 anni fa da Deng Xiaoping. «Se i miei genitori avessero pagato la multa — dice — potrei avere una vita normale. Non avevano 3.700 yuan (circa 500 euro, ndr ), così sono diventato un fantasma». Lo è anche Li Xue, 22 anni, cameriera in nero, otto anni meno della sorella Li Bin. «Senza un documento d’identità — ha detto al New York Times — non potrò mai sposarmi. Così mi sono vietata perfino di innamorarmi: nessun ragazzo cinese si metterebbe con una a cui è negato per legge avviare una famiglia». Il raddoppio del limite di Stato alle nascite, annunciato dal presidente Xi Jinping da marzo 2016, non affronta la tragedia dei milioni di figli-fantasma nati illegalmente dal 1979. Lasciati soli, devono lottare come clandestini contro il proprio Stato che non li riconosce, contro la burocrazia, contro gli abusi dei funzionari. La loro condanna è non avere documenti, né l’ hukou , il permesso di soggiorno che apre le porte del welfare. Niente istruzione, niente assistenza sanitaria, niente lavoro, niente casa, niente matrimonio, niente pensione. «Non posso nemmeno prendere il treno — dice Yao Jihan, barbiere di strada abusivo nel parco del Tempio del Cielo di Pechino — o un aereo. Per spostarsi occorre la tessera di residenza, come quella dei figli unici. Per i prigionieri dell’invisibilità, anche espatriare e ripartire da zero è uno sogno impossibile». Legalizzare quelli che il partito comunista chiama «figli della disobbedienza», imporrebbe alla leadership il riconoscimento di un errore degenerato in abuso. Per decenni la carriera e lo stipendio dei funzionari sono dipesi dallo zelo con cui hanno imposto aborti forzati, sterilizzazioni, demolizioni e multe, negato identità, distribuito punizioni, o preteso tangenti. Ufficialmente la legge vieta la «vendetta della clandestinità ». La realtà resta un’altra. «Ai secondogeniti già venuti al mondo — dice Yao Jihan — non sarà permesso di emergere dall’ombra. Nemmeno i nostri fratelli maggiori, ormai, vogliono condividere i loro diritti da figli unici».