mercoledì 4 novembre 2015

La Stampa TuttoScienze 4.11.15
Carlo Rubbia
“Insieme con Einstein a un passo dai segreti del Big Bang”
“Tra neutrini e materia oscura vi racconto le prossime sfide”
“Ma l’Europa rischia di perdere la gara con Usa e Giappone”
intervista di Gabriele Beccaria


Carlo Rubbia, un Nobel di Fisica alle spalle e tanti progetti davanti agli occhi: nel suo ufficio di senatore a vita, a Palazzo Giustiniani, spiega che tra Einstein e la generazione dei fisici del XXI secolo c’è una grande differenza. Quella che passa tra le brillanti teorie del genio che ideò la Relatività e la Big Science di oggi che gli esperimenti traducono in realtà. Arrivando perfino a un passo dal Big Bang, l’inizio di tutto ciò che è fisicamente osservabile.
«Fino a un decennio fa la fisica di Einstein, ad esempio quella dei primi istanti dopo il Big Bang, era essenzialmente teorica. Einstein e i suoi collaboratori dell’epoca hanno considerato due ipotesi alternative, quella di un Universo infinito nel tempo o di uno formatosi con il Big Bang: ha prevalso infine questa seconda alternativa, ma solo come ipotesi. Recentemente, poi, con una serie di esperimenti, è stato portato avanti lo studio della cosiddetta “astroparticle physics”, in cui si mettono insieme informazioni provenienti dall’astronomia e dalla fisica delle particelle elementari».
Professore, da questa unione che cosa si sta scoprendo che Einstein non avrebbe immaginato?
«Ci sono due motivi che rendono importante questa fisica. Primo: l’Universo, all’inizio, era estremamente uniforme e quindi studiarne una piccola parte equivale a studiarlo nella sua interezza. Da qui sorge la possibilità di quello che vorrei chiamare un “Little Bang”, ricreando le stesse condizioni sperimentali delle origini con collisioni tra particelle di alta energia e per tempi brevissimi. Secondo: si è capito che in quei primi momenti l’Universo era estremamente prolifico di eventi straordinari e di fenomeni che non possono essere visibili semplicemente osservando le stelle con l’astronomia. Adesso, quindi, passare al processo di ricreazione con le particelle elementari rappresenta un programma di fisica e uno straordinario metodo di ricerca. Il Big Bang è, oggi, una realtà sperimentale con molteplici aspetti».
Tra tanti altri esperimenti c’è anche uno di cui lei è protagonista e che si chiama «Icarus»: ce lo racconta?
«La situazione è delicata. L’Europa e il Cern hanno prodotto risultati fondamentali sulla fisica dei neutrini per mezzo secolo. Tuttavia, con una decisione che non esito a definire autoritaria, nel futuro ne faremo a meno: a occuparsene saranno principalmente gli “altri”: americani, giapponesi e cinesi. Almeno per i prossimi 30 anni. Eppure non dimentichiamoci che per i neutrini sono stati assegnati almeno quattro Nobel per la fisica, compreso quello di quest’anno. Oggi sono il fulcro dell’attenzione».
Perché l’Europa si ritira da un campo così fondamentale?
«La posizione europea di rinunciare a portare avanti i propri programmi in prima persona è, secondo me, un errore. Alcuni anni fa avevo proposto al Cern un piccolo esperimento per verificare l’esistenza dei neutrini sterili, un’idea che risale a Bruno Pontecorvo: questi, se avessero una massa opportuna potrebbero avere una relazione profonda con l’energia oscura. Oggi, invece, con “Icarus” si è preferito prendere la strada per l’America, portando il nostro rivelatore al Fermilab di Chicago. Negli Usa, infatti, è stato lanciato un programma specifico sul neutrino e, quindi, le 730 tonnellate del rivelatore che trasporteremo oltreoceano diventeranno il cuore per la ricerca dei neutrini sterili».
Quali sono i tempi?
«Il programma va avanti: siamo nella fase della preparazione e delle modifiche, in accordo con le richieste americane. Il Cern ci ha offerto spazio e risorse, poi alla fine del 2016 l’esperimento si insedierà negli Usa. Estenderemo la collaborazione a ben otto gruppi statunitensi e ad alcuni dei maggiori laboratori».
È quindi una sconfitta per l’Europa?
«Di esperienze come Lhc non se ne possono fare due, ci vuole collaborazione. Ma per la fisica dei neutrini, che richiede installazioni di dimensioni più ridotte, la partita è aperta: ci sono anche i giapponesi, che hanno appena meritato un Nobel con Takaaki Kajita. Dopo l’esperimento Kamiokande e quello Super-Kamiokande, vorranno fare un Iper-Kamiokande. Il programma sui neutrini, così, non è soltanto americano. Semmai non è più europeo».
Lei parla di Big Science: è stato un pioniere, al Cern, con la scoperta delle particelle W e Z. Poi nel 2012 è arrivata quella del Bosone di Higgs: qual è il prossimo obiettivo?
«Il Modello Standard è stato uno dei grandi risultati di fisica degli ultimi 50 anni e descrive con precisione la fisica astroparticellare. Da qui la domanda: è il tutto? No, non può essere il tutto. Ci deve essere ancora altro da scoprire. L’obiettivo, quindi, è andare “beyond”, oltre il Modello Standard».
Come si riesce in pratica?
«Le faccio un esempio partendo da W e Z. Ci sono state al Cern due fasi: una di scoperta e un’altra di analisi e misura. Queste particelle furono scoperte con un’esperienza adronica, con il “collisionatore” di protoni e antiprotoni. Ma poi il tutto fu ripreso da un altro acceleratore più grande, il Lep, che ha prodotto centinaia di migliaia di eventi singoli e “puliti”. Ora siamo arrivati all’Higgs: per rispondere all’interrogativo si deve fare di nuovo un altro passo».
Quale nuovo passo?
«L’attuale “collisionatore”, Lhc, fa scontrare su una scala più grande protoni di alta energia. Vediamo un segnale, ma non ricaviamo tutte le informazioni possibili. Ecco perché è necessario costruire un’altra esperienza che realizzi l’equivalente del Lep con W e Z».
«il sogno è quello di produrre milioni di Higgs, in condizioni di assoluta pulizia e cercare quindi di capire se il Modello Standard rimane quello che è o se ci sono ulteriori segnali. E per essere significativo un cambiamento deve essere dimostrato entro un adeguato limite di garanzia».
Ma se questo obiettivo non si può ottenere con i mezzi dell’Lhc attuale, qual è l’alternativa?
«L’alternativa è riuscire a creare degli Higgs “solitari”. Higgs è una particella scalare e, se per le misurazioni la massa dell’elettrone è troppo piccola, i muoni mi sembrano la soluzione ideale. Dovremo concentrare nel futuro fasci di muoni come abbiamo già fatto in passato con gli antiprotoni. L’idea è prendere muoni positivi e muoni negativi, ciascuno con la metà della massa dell’Higgs, e farli collidere, producendo proprio l’Higgs».
Quante chances ci sono di realizzare un test simile?
«È un esperimento che si può fare in tempi ragionevoli e con le risorse oggi disponibili. Purtroppo, però, la maggioranza dei fisici sogna altro e si tratta, a mio parere, di sogni pindarici, vista la situazione attuale. Al Cern si sta pensando all’alternativa di un nuovo anello di 120 km, cinque volte le dimensioni dell’Lhc che attraverserebbe il lago Lemano e le montagne circostanti. Ma si può pensare di realizzare veramente un progetto simile?».
Quali sono in dettaglio le alternative?
«Il principio è quello - come dicevo - del “muon cooling” e la macchina necessaria è piccola: l’anello sarebbe l’1% delle dimensioni di Lhc, che è 27 km. Quindi, all’incirca, solo 270 metri. È un anellino che si può fare dentro lo stesso Cern: una soluzione fattibile».
Come immagina che debuttereste?
«Si tratterebbe di creare un “initial cooling experiment”, un primo test che permetta di dimostrare con misure precise la fattibilità del raffreddamento dei muoni. Ne abbiamo discusso in Italia e anche al Cern e ne stiamo ancora parlando».
Se riuscisse a realizzare il test, che cosa spera di trovare?
«Raccogliendo gli eventi delle particelle, si capirà se il Modello Standard è assolutamente vero o se c’è bisogno di fare delle aggiunte, che vanno interpretate come un’apertura verso il futuro: quello è un territorio ancora oscuro».
Oscuro come la famosa - e misteriosa - materia oscura che compone buona parte dell’Universo: si potrebbero individuare indizi decisivi?
«Molto dipende se è una particella oppure, come sostengono alcuni fisici, se sia dovuta a un processo diverso e soltanto gravitazionale. La mia speranza è che esista una finestra per le particelle elementari, da poter produrre in laboratorio».
Mettendo insieme tutti questi scenari, quanto ci si avvicina o ci si allontana da ciò che teorizzava Einstein?
«Si dice che avesse definito il “biggest blunder” - il “mio più grande errore” - l’aggiunta della costante cosmologica al suo modello statico di Universo. Forse, però, la frase è una leggenda. Oggi la costante cosmologica si è rivelata una realtà e ne osserviamo il segnale. Einstein doveva affrontare molti problemi e quello del Big Bang è anche un problema religioso, non solo scientifico: l’inizio dei tempi è infatti raccontato da tutte le religioni e per gli scienziati è difficile separare i due aspetti, quello della ricerca e quello metafisico. La “Genesi”, in effetti, è il discorso poetico di una realtà scientifica e di quella fisica delle astroparticelle di cui parlavo prima».
Einstein ha affrontato una serie di questioni, legate alla Relatività, che l’hanno a lungo tormentato: oltre al Big Bang, i buchi neri e il fenomeno quantistico dell’«entanglement». Anche quando gli sembrava di sbagliare, però, immaginava realtà che oggi si comincia a verificare sperimentalmente: la sua eredità è sempre più attuale?
«Oggi esiste una straordinaria comunità scientifica, mentre ai suoi tempi i fisici erano un numero tremendamente modesto. Oggi assistiamo a un’esplosione di scienza e di tecnologia, che sono diventati un problema globale. La società, infatti, è guidata dalla scienza e dalla tecnologia. Einstein aveva molto tempo per pensare. Noi non ce l’abbiamo più».
Un test dopo l’altro, come immagina la fisica del prossimo futuro? Arriveremo mai alla sospirata unificazione tra Relatività e meccanica quantistica?
«È chiaro che dobbiamo tornare al metodo galileiano, all’esperimento, alla “natural philosophy”. Dobbiamo perciò essere modesti: lasciamo che la natura ci dica come vanno le cose. E cerchiamo le sorprese: sono piccoli segnali, che poi potrebbero diventare grandi».
Le fanno paura i sempre più numerosi nemici della scienza?
«Oggi il problema è garantire che la conoscenza scientifica sia preservata nella sua integrità, altrimenti si rischia di finire in una situazione di mediocrità. Sto pensando al “Principe” di Machiavelli: è importante sapere le cose quando sono ancora lontane, sennò può essere troppo tardi…».