Repubblica 2.11.15
Una “clinica dell’anima” che resiste da duemila anni
di Alberto Manguel
Platone, nel Timeo , racconta che quando uno degli uomini più saggi di tutta la Grecia, lo statista Solone, visitò l’Egitto, un vecchio sacerdote gli disse che i greci erano come bambini, perché non possedevano tradizioni realmente antiche o insegnamenti «canuti per l’età». In Egitto, proseguiva orgoglioso il sacerdote, «tutte quante le cose che sono accadute presso di voi o qui o in altro luogo di cui abbiamo sentito notizia, se ve ne sia qualcuna che sia onorevole, o grande, o che si sia distinta per qualche altra ragione, sono state scritte qui nei templi e vengono conservate ».
Questo progetto tanto ambizioso prese forma durante la dinastia tolemaica. Nel III secolo a.C., più o meno nello stesso periodo in cui Platone scriveva i suoi dialoghi, i re egiziani ordinarono che ogni libro esistente nel mondo conosciuto venisse raccolto e collocato nella grande biblioteca che avevano fondato ad Alessandria. Di questa biblioteca non si sa quasi nulla, a parte la sua fama, eppure, come uno dei fantasmi più illustri della storia, la Biblioteca di Alessandria è divenuta l’archetipo di tutte le biblioteche. Le biblioteche hanno le forme e le dimensioni più diverse. Possono essere enormi come la Biblioteca Vaticana o minuscole come quella del campo di concentramento per bambini di Birkenau, dove le bambine più grandi custodivano otto volumi che dovevano essere nascosti ogni sera per evitare che i secondini nazisti li confiscassero. È nella natura delle biblioteche esistere nel pericolo costante di essere distrutte, dalla guerra, dai parassiti, dal fuoco, dall’acqua o dalle dabbenaggini della burocrazia. Ma oggi il pericolo maggiore viene da cambiamenti sconsiderati che rischiano di far perdere alle biblioteche il loro triplice ruolo tradizionale: custodi della memoria della nostra società, fornitrici dei resoconti delle nostre esperienze e degli strumenti per esplorarle, e infine (non meno importante) simboli della nostra identità.
Dai tempi di Alessandria le biblioteche rivestono una funzione simbolica, ma dalla metà del Novecento sembrano trattate come semplici magazzini di una tecnologia giudicata defunta non sono considerate degne di adeguata conservazione e finanziamenti. Eppure resistono. Decise a sopravvivere in un’epoca in cui l’atto intellettuale ha perso quasi tutto il suo prestigio, le biblioteche sono diventate in buona parte centri sociali.
Ma se si vuole che diventino il cuore di centri sociali più ampi, allora occorreranno cambiamenti operati in modo consapevole da un’istituzione intellettualmente forte che ne riconosca il ruolo esemplare, preservando la centralità del libro e insegnandoci che cosa possono fare i libri; mostrarci le nostre responsabilità gli uni verso gli altri, aiutarci a mettere in discussione i nostri valori e minare i nostri pregiudizi, fornirci il coraggio e l’ingegno per continuare a vivere insieme e offrirci parole illuminanti che ci consentano di immaginare tempi migliori. Secondo lo storico greco Diodoro Siculo, le biblioteche dell’antico Egitto recavano scritte sopra l’ingresso queste parole: «Clinica dell’anima».
(Traduzione di Fabio Galimberti)