venerdì 27 novembre 2015

Repubblica 27.11.15
Jean Daniel.
“La jihad di oggi è figlia della radicalizzazione dell’islam che ha prodotto frustrazioni. La promessa dell’aldilà fa sì che i ragazzi siano pronti a morire per questo”
“La mistica della purezza è la vera arma dei terroristi”
intervista di Fabio Gambaro


PARIGI «La jihad contro la Francia nasce da una deriva interna dell’islam più che dal passato coloniale francese». Jean Daniel, intellettuale impegnato e decano del giornalismo europeo, dissente da chi spiega l’attacco alla Francia anche come una conseguenza della sua storia passata. «Certo le relazioni tra la Francia e il mondo arabo sono antiche e complesse», dice il fondatore del Nouvel Observateur. «Fin dalla spedizione di Napoleone in Egitto, la Francia ha intrecciato con i paesi arabi una relazione fatta di curiosità e fascinazione, ma anche di scontri e conflitti. Accanto alle scoperte archeologiche o agli studi dei grandi arabisti francesi, non sono mancati gli aspetti negativi, le guerre, la colonizzazione. Bisogna ad esempio ricordare che siamo stati noi francesi a imporre la separazione della Siria dall’Iraq con l’accordo Sikes-Picot del 1916, una separazione di cui stiamo pagando ancora oggi le conseguenze. Inoltre, la colonizzazione ha prodotto un sentimento d’inferiorità nei popoli colonizzati che è ancora molto diffuso. Tuttavia, le azioni degli uomini della jihad hanno poco a che fare con questa storia complessa».
La memoria coloniale ha influito sulle reazioni del mondo politico e dell’opinione pubblica agli attacchi di Parigi?
«Temevo che le ferite della guerra d’Algeria avrebbero condizionato le reazioni dei francesi, temevo il ritorno del razzismo, della xenofobia e della discriminazione nei confronti dei musulmani. Invece non è stato così. La risposta del popolo francese è stata all’altezza della situazione, composta e degna. Perfino il Fronte Nazionale ha messo la sordina ai suoi attacchi al mondo musulmano. Il popolo francese ha mostrato di esistere. Per una volta sono veramente fiero di questo popolo ».
Prima ha detto che gli attentati sono il risultato di una deriva interna dell’islam. Cosa significa?
«Per molti specialisti, la radicalizzazione dell’islam è un processo inevitabile. Per costoro, l’islam porta in sé l’islamismo, e l’islamismo porta in sé la deriva violenta dell’Is. Non condivido del tutto questa posizione, ma gli ultimi avvenimenti sembrerebbero confermarla. Come pure sembrano confermate le ipotesi di Samuel Huntington e la sua teoria dello scontro di civiltà. Anch’io ho spesso messo in guardia contro la minaccia di una possibile guerra di civiltà causata dall’inevitabile radicalizzazione dell’islamismo».
Ma perché questa radicalizzazione sarebbe inevitabile?
«L’islam è costituito di divieti che vengono subìti e di promesse che non vengono mantenute. A ciò vanno aggiunte le sconfitte e la crisi dei paesi che hanno mescolato fede e politica. Tutto ciò ha prodotto molte frustrazioni e un desiderio di purezza assoluta, da qui la deriva verso la dittatura, da cui poi nasce la barbarie. La radicalizzazione dell’islam viene da questa evoluzione ».
Molti specialisti dicono però che la radicalizzazione dei giovani terroristi francesi esprime più che altro il rifiuto della società in cui vivono, mentre la dimensione religiosa sarebbe solo una pretesto...
«Naturalmente bisogna tenere conto delle condizioni sociali per spiegare quello che è successo. Ma queste da sole non bastano. Io ad esempio sono molto colpito dalla propensione al suicidio di questi giovani. Naturalmente tutte le rivoluzioni producono violenza e i kamikaze li abbiamo già visti in Giappone. Ma l’introduzione nell’educazione religiosa e nell’arruolamento mistico della dimensione del sacrificio come via d’accesso alla salvezza è una caratteristica abbastanza specifica del mondo musulmano, e in particolare dell’islamismo nella sua dimensione più radicale. I kamikaze della jihad non sono emarginati, si pensi agli autori dell’attacco alle Torri gemelle. E anche a Parigi i terroristi non erano dei miserabili. Non sono nemmeno dei rivoluzionari che vogliono trasformare la società. Cercano soprattutto l’aldilà».
Per Alain Finkielkraut, i massacri del 13 novembre segnano la fine della fine della storia. È d’accordo?
«È un’evidenza: la storia torna a manifestarsi con tutta la sua violenza, spazzando via le facili illusioni del passato. Anche la Francia si è illusa, sottovalutando i rischi e le conseguenze delle guerre che ha combattuto in Libia, in Mali e ora in Siria. Pensava di fare una guerra a distanza e invece se l’è ritrovata in casa. Lo shock è stato enorme. Io stesso in mi sono sbagliato, quando ho sostenuto il nostro intervento in Libia. Oggi penso che avremmo dovuto seguire altre strategie diverse da quella militare. Non credo che la Francia abbia fatto bene a voler fare il giustiziere. Per Simone Weil, ogni volta che si prendono le armi in nome della giustizia, si mette un piede nel campo dell’ingiustizia. È una verità che bisogna sempre tener presente. Anche di fronte alla necessità di difendersi dagli attacchi subìti».
Per la lotta al terrorismo, è giusto limitare le libertà dei cittadini?
«Purtroppo è inevitabile. Non ci si può difendere senza rinunciare ad alcune libertà, ma lo si deve fare cercando di conservare il consenso di tutti. Come accade ora in Francia, dove la popolazione è solidale con l’azione del governo e della polizia. Il problema però è sapere quanto tempo potrà durare questa situazione. Il tempo è la nostra grande incognita».