venerdì 27 novembre 2015


Repubblica 27.11.15
L’equivoco del nazismo spirituale
di Angelo Bolaffi


Post mortem Heidegger conferma quello che era stato in vita: un nazista convinto e un antisemita. Il “Mago di Messkirch” non si è smarrito nel buio della “notte dell’Essere” inciampando casualmente in un errore politico e morale. La sua adesione al nazismo — nonostante gli imbarazzati ( e imbarazzanti) tentativi di assoluzione da parte dei suoi adepti — è stata piena e convinta. A lui piaceva il nazismo nel quale vedeva «la risvegliantesi realtà dell’esserci tedesco alla sua grandezza». Con un gesto di sconfinata superbia intellettuale Heidegger è per di più convinto di essere lui il vero Führer del movimento: il rappresentante del “nazionalsocialismo spirituale” (un vero ossimoro !) da lui contrapposto a “un nazionalsocialismo volgare” che a suo modo di vedere minaccerebbe di imborghesire il movimento: «Il nazionalsocialismo è un principio barbarico. Questo è il suo tratto essenziale e la sua possibile grandezza. Il pericolo non sta nel nazionalsocialismo stesso, bensì nel fatto che esso venga minimizzato a predica su ciò che è vero, buono e bello».
Quanto al suo antisemitismo le affermazioni contenute nei Quaderni neri degli anni successivi ( sono già stati pubblicati in Germania) scritte dunque dopo la Reichspogromnacht del 9 novembre del1938, non lasciano dubbi in proposito: non c’è niente di “metafisico” nel suo odio ma solo il tentativo di dare una parvenza di dignità filosofica a un antisemitismo che dell’ideologia hitleriana è il vero fondamento. Insomma i Quaderni neri confermano la diagnosi stilata già nel 1940 da Karl Löwith che di Heidegger era stato allievo e collaboratore ( fu lui a correggere le bozze di Essere e tempo) per poi diventarne il critico filosoficamente più implacabile: «Non è Heidegger che ha “male interpretato se stesso” quando si è schierato con Hitler ma, piuttosto, non hanno capito Heidegger coloro che non compresero perché egli ha potuto farlo». Per questo appare urgente e ineludibile andare alla radice del grande equivoco rappresentato da Heidegger: un equivoco che è filosofico e non solo storico-politico. Occorre, è ancora Löwith a parlare, «rompere l’incantesimo di una sterile imitazione da parte di una massa di adepti», nella consapevolezza che è giunta l’ora di prendere commiato da un pensatore che come ha sarcasticamente annotato Thomas Bernard in Antichi maestri, ha «annegato nel kitsch la filosofia» e in tal modo «è riuscito a mettere nel sacco un’intera generazione di studiosi tedeschi» e non. Del resto a questa convinzione era giunto anche Franco Volpi, un pensatore del quale i lettori di Repubblica hanno avuto modo di apprezzare non solo la cultura ma soprattutto la saggezza: in quello che costituisce il suo testamento filosofico, la sua introduzione al testo di Heidegger intitolato Contributi alla filosofia, egli ci invita a prendere commiato da una autore la cui proposta gli appare ormai impraticabile e irricevibile: «Anche le sue geniali sperimentazioni linguistiche implodono, e assumono sempre più l’aspetto di funambolismi, anzi, di vaniloqui(...) Enigmatico non è tanto il pensiero dell’ultimo Heidegger, bensì l’ammirazione supina e spesso priva di spirito critico che gli è stata tributata e che ha prodotto tanta scolastica». Dopo la lettura di questo pessimo Zibaldone filosofico - peggio di Heidegger aveva fatto solo Carl Schmitt con il suo Glossarium - sappiamo che da quella vicenda culturale e filosofica non possiamo e non dobbiamo attenderci più nulla. Dobbiamo rimetterci in cammino non su presunti “sentieri dell’Essere” ma alla ricerca di risposte alle domande di senso poste dai problemi spirituali del mondo di oggi fedeli all’imperativo dell’illuminismo kantiano del Sapere aude.