mercoledì 25 novembre 2015

Repubblica 25.11.15
Christine Angot.
Non è un caso se gli assassini hanno preso di mira il Bataclan: da sempre i totalitarismi non riescono a concepire un mondo “altro”, parallelo a quello reale. Da Shakespeare agli Eagles of Death Metal
Perché la forza dell’immaginario è la vera resistenza al potere terrorista
di Christine Angot


Nel 1822 va in scena a Baltimora una rappresentazione dell’Otello di Shakespeare. A un soldato è chiesto di stare di guardia in sala e di vigilare sul buon andamento delle cose, come farebbe una sentinella. Questa è una storia vera. E ci è stata raccontata da Stendhal. Il soldato ha con sé un fucile e sorveglia la sala. È là per quello, è il suo lavoro. Nel frattempo, segue la rappresentazione. Quando Otello, pazzo di gelosia, si scaglia su Desdemona, il soldato afferra il fucile e spara. Un uomo nero si è lanciato addosso a una donna bianca: il soldato ha con sé il fucile, è questione di un attimo, afferra l’arma, fa fuoco sull’attore in scena, l’attore resta ferito, la pallottola sparata è vera. L’attore non muore, ma resta ferito.
Da noi è accaduta la stessa cosa, ma su più ampia scala e con premeditazione. Venerdì 13 novembre al Bataclan c’era il concerto degli Eagles of Death Metal. Stavano suonando quando i soldati di Daesh hanno aperto il fuoco. Come se la musica metal rischiasse di trafiggerli, come se al Bataclan la scena non fosse musicale e immaginaria, ma reale. Nello stesso modo in cui i vignettisti di Charlie stavano disegnando quando i fratelli Kouachi hanno aperto il fuoco.
La civiltà è una linea. Una piccola linea invisibile e sottilissima. È una linea che separa il reale e l’irreale, il reale e l’immaginario, lo spazio reale e lo spazio inventato. In altre parole, è l’idea che non esiste un unico spazio, reale, totalitario, ma che accanto ne esiste un altro, che non segue le stesse regole. È uno spazio inoffensivo, irreale, che non pretende di esercitare i suoi poteri sul serio, ma che vuole rappresentare, dire e interpretare il reale in uno spazio, una scena, una vignetta, una pagina, una tela, un museo separati e distinti. Quando l’attore che interpreta Otello mette in scena l’efferata gelosia, non si è nel reale, ma vi si assiste tramite un processo paradossale e contrario. E, quando lo si vede, si tengono meglio a freno le nostre pulsioni violente. La civiltà è questo: è vedere il reale grazie a un processo che la capovolge e che la rende visibile rovesciando nelle nostre teste l’immaginario. Questo processo capovolto è la linea. E, quando non la si conosce, quando non la si distingue, quando non la si vuole vedere, non si riescono a distinguere i due spazi e si esce dalla civiltà.
Il problema che gli spiriti totalitari hanno con l’irreale e il suo spazio è che esso non ha potere e non si cura di averlo. L’irreale non è interessato al potere reale e questo, per il soldato di Baltimora o i jihadisti, è inconcepibile. Che si possa fare qualcosa per niente, solo per mostrare quel che si è, senza esercitare un potere sulle cose; che un attore voglia interpretare Otello senza voler essere padrone della sua donna e assassinarla, è incomprensibile. Loro non fanno niente per niente. Provano orrore all’idea di immaginare che si possa essere niente, non volere nulla di speciale fuorché starsene seduti sulla terrasse a bere, a fumare. Per loro, non soltanto tutto ciò non esiste, ma non deve nemmeno esistere. È indispensabile che TUTTO sia reale. Questo significa essere totalitari. È indispensabile che TUTTO sia reale affinché TUTTO sia sotto controllo. Orbene, vi è una linea, irreale, dietro la quale nulla è sotto controllo come dovrebbe, e questo per loro non è concepibile.
Mia cugina Valérie, che abita a Châteauroux, all’indomani della sparatoria mi ha scritto: «Dopo quello che è accaduto a Parigi, dimmi soltanto se state bene». Le ho risposto: «Sì, Charly e io eravamo in casa. Oggi io sarei dovuta andare alla Maison de la poésie per una lettura pubblica, ma ogni cosa a Parigi deve restare chiusa. È terribile». Lei: «Sì, lo so. E fa paura». Io: «Non si deve avere paura. Perderanno. Faranno tanto male, ma perderanno». E lei: «Non possono dominare il mondo e strappare via ciò che la gente ha nel cuore».
A mezzogiorno Daesh ha rivendicato l’attentato. Mi sono ripetuta la frase di mia cugina: «Non possono dominare il mondo e strappare via ciò che la gente ha nel cuore». Alle 14 in televisione un filosofo ha detto: «L’Islam è compatibile con la Repubblica. Il problema non è l’Islam, ma i terroristi». È stato qualcosa di inascoltabile. Come se nel 1942 si fosse detto: «I tedeschi sono persone perbene, persone fantastiche, che adorano la grande musica. Il problema non sono i tedeschi, ma i nazisti ». E stato inascoltabile. Le identità non esistono. Smettiamola. Non siamo niente. Non siamo musulmani. Non siamo ebrei. Non siamo cattolici. Non siamo bianchi. Non siamo uomini. Non siamo donne. Siamo una squadra. E la nostra è la squadra francese.
© Christine Angot, Le Monde des Livres, 2015 Traduzione di Anna Bissanti L’autrice è una scrittrice francese tradotta anche in Italia. I suoi libri sono pubblicati da Guanda