lunedì 23 novembre 2015

Repubblica  23.11.15
Tra crisi e idee pop il lungo addio al libro della Treccani
di Simonetta Fiori


A dicembre il cda discuterà il piano di ristrutturazione e deciderà se cessare la pubblicazione delle grandi opere. Si punta su Internet
Si può morire con un grande frastuono? La domanda sembra calzante per la Treccani che pare avviata verso il definitivo tramonto nella sua originaria vocazione: principale agenzia culturale italiana nella veste di organizzazione sistematica del sapere in forma di enciclopedia. Ed è paradossale che proprio nel momento in cui in piazza Paganica, a Roma, si fa festa per il successo del mini sito # leparolechevalgono – con la prestigiosa partecipazione di papa Bergoglio dopo Totti e Vasco Rossi – l’Istituto sia costretto a discutere il piano di ristrutturazione indicato dalla Bain, una società di consulenza già molte volte interpellata in passato. Un rapporto drammatico sul crollo del parco clienti delle enciclopedie che suggerisce di cambiare completamente rotta. Come hanno fatto da tempo altri fondamenti della cultura europea, prima la tedesca Brockhaus e dopo la Britannica.
La Treccani dice addio al libro? Il consiglio di amministrazione dell’Istituto – presieduto da Franco Gallo e guidato dal direttore generale ed ex ministro dei Beni culturali Massimo Bray – dovrà discuterne il mese prossimo: se non si tratta di un azzeramento totale, bisognerà ulteriormente sacrificare le grandi opere su cui è costruita la storia dell’Enciclopedia. La relazione della società Bain lascia pochi margini di speranza. La vendita rateale delle enciclopedie ha resistito negli ultimi anni anche grazie a contratti firmati da un pubblico anziano, che però comincia a estinguersi. Figli e nipoti non sono disposti a ereditarne il carico finanziario, con disdette di contratto su cui fioccano le cause. E anche i lettori più fedeli non se la sentono di assumersi nuovi oneri per le opere in più volumi. L’ultimo bilancio della Treccani relativo al 2014 denuncia una perdita secca di quattro milioni e quattrocentomila euro, con la riserva straordinaria che si riduce a poco più di duecentomila euro (nel 2013 si registrava un utile di 572 mila euro, mentre nel 2012 la perdita era stata anche peggiore, con otto milioni e trecentocinquantamila euro di rosso).
La voce più in crisi, nella tabella del venduto, è proprio quella delle enciclopedie, che è scesa del 17 per cento riducendosi a poco più di un quarto dell’intera torta. Il genere che rende meglio continuano a essere le opere di pregio, quelle lussuosissime edizioni che pesano svariati chilogrammi e sono in sostanza le strenne da regalare a Natale all’amico professionista: ma ci si domanda quanto possa un’agenzia culturale con la storia e il profilo della Treccani affidare la propria ragione sociale alla produzione di danarosi cadeaux. Un genere che certo non assicura un pubblico nuovo. Perché la sfida di questi ultimi anni è stata quella trovare nuovi lettori, ma le iniziative editoriali più recenti non sono riuscite ad aprire mercati diversi da quelli tradizionali.
Alla Treccani non resta che aumentare gli investimenti nel web, che finora però non ha procurato i profitti sperati. È vero che oggi il portale Treccani. it è il secondo sito enciclopedico dopo Wikipedia, è nella classifica del Top 500 ( posizione 203), è visitato da oltre trecentocinquantamila utenti ogni giorno, ma non è una voce rilevante del bilancio. Per questo lo scorso giugno è stato necessario iniettare nelle casse impoverite dell’Istituto tre milioni e quattrocentoquaranta mila euro di un fondo pubblico, Invitalia, di proprietà del ministero dell’Economia. L’operazione ha visto l’ingresso dell’ad dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, Domenico Arcuri, nel consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia ( con una partecipazione intorno al 7,7 per cento del capitale sociale). L’obiettivo è il potenziamento del settore tecnologico e multimediale.
Allo studio sono vari progetti che riguardano la digitalizzazione dell’archivio fotografico, la didattica online e molto altro, ma quello elettronico è un profilo che richiede ancora tanto lavoro. E certo pesano le inerzie della stagione passata, le cariche a lungo rimaste vuote, la storia di un istituto pesantemente condizionato dalla politica e dai giochi di potere di una società castale che da noi sopravvive a qualsiasi discontinuità.
Quello che un tempo veniva detto con orgoglio – « siamo l’ultimo istituto enciclopedico rimasto in piedi » – suona oggi come un malinconico ammainabandiera compiuto con rassegnazione. E se occorresse un’immagine per restituire la tristezza del declino, bisognerebbe affacciarsi nel salotto della masseria pugliese di Franco Tatò, fino allo scorso anno potentissimo amministratore delegato dell’Istituto: un muretto di cento volumi Treccani avvolti nel Domopak che funge da base del tavolino nel salotto, il ripiano su cui poggiare il bicchiere di whisky o la tazzina di caffè. Un gesto che della provocazione in stile Christo mantiene solo il cellophane, mentre appare solo come uno sfregio per il centinaio di lavoratori allontanati negli ultimi anni da Palazzo Mattei.
È stato soprattutto sotto la decennale gestione di Tatò che l’Istituto è andato perdendo pezzi importanti della redazione, fino a vederla quasi completamente scomparire. E alla demolizione del vecchio non è seguita la costruzione di una nuova veste capace di sostituire l’impianto precedente. I pochi redattori sopravvissuti si aggirano nel deserto come gli eroi malinconici del Day After, domandandosi se l’Appendice conclusa quest’anno sia anche l’ultima. Secondo la società Bain è illusorio pensare di campare sui libri. Occorrerebbe potenziare i servizi culturali come la consulenza per i progetti scientifici o la produzione di audiovisivi e documentari: un progetto tutto da costruire.
Il prossimo consiglio di amministrazione deciderà se il futuro della Treccani prevede ancora enciclopedie di carta. Intanto a Piazza Paganica si gioisce per il gioco delle parole sul web che va benone. I tweet su Totti – star di # leparolechevalgono – infiammano la Rete. Un rumore assordante che sembra nascondere la fine di una storia. Nella speranza che ne cominci una nuova.