Repubblica 17.11.15
Ma il Califfato sta diventando il nemico di se stesso
Gli ultimi attacchi mostrano anche i limiti di una strategia che punta all’attenzione dei media. E rischia di fallire come al Qaeda a causa dei conflitti interni
di Olivier Roy
Come ha dichiarato il presidente francese François Hollande, il Paese è in guerra contro lo Stato Islamico. La Francia considera l’Is il più grande nemico da sconfiggere oggi. Lo combatte sulle linee del fronte accanto agli americani in Medio Oriente ed è l’unica nazione occidentale impegnata anche nel Sahel. Gli altri attori impegnati in Medio Oriente ritengono più importanti altri nemici. Il nemico principale di Bashar al-Assad è l’opposizione siriana, oggi presa di mira anche dalla Russia che gli dà manforte. Senza dubbio, Assad trarrebbe grande vantaggio se non ci fosse niente a interporsi tra lui e l’Is. Ciò gli permetterebbe infatti di presentarsi alla comunità internazionale come l’ultimo bastione contro il terrorismo islamico. Il governo turco è stato chiaro: il suo principale nemico è il separatismo curdo. Una vittoria dei curdi siriani sull’Is potrebbe consentire al Pkk, il partito dei lavoratori curdi, di conquistare una terra ben protetta, e di riprendere la sua battaglia contro la Turchia. I curdi, siano essi siriani o iracheni, più che schiacciare l’Is, intendono difendere i loro nuovi confini. Sperano che il mondo arabo si spacchi ancora di più. Gli sciiti iracheni, a prescindere dalle pressioni di cui sono fatti oggetto dall’America, non sembrano pronti a morire per riconquistare Falluja. Difenderanno i confini delle loro aree settarie, e non lasceranno cadere Baghdad, ma non hanno alcuna fretta di riportare la minoranza sunnita nell’arena politica irachena. Per i sauditi, il nemico principale non è l’Is, che rappresenta una forma di radicalismo sunnita che hanno sempre sostenuto. Quindi non agiscono, non lo affrontano, non intervengono: il loro nemico principale resta l’Iran. Dal canto loro, gli iraniani vogliono contenere l’Is ma non necessariamente annientarlo. E poi c’è Israele, che non può che essere lieto di vedere Hezbollah combattere gli arabi, la Siria al tracollo, l’Iran invischiato in una guerra dall’esito incerto e tutti che dimenticano la causa palestinese. In sintesi, nessun attore regionale è disposto a inviare proprie truppe sul terreno per reclamare territori all’Is.
La Francia è forse l’unico Paese a voler annientare l’Is e a cercare di farlo. Solo che non ha i mezzi per poter combattere una simile guerra su due fronti, sia nel Sahel, sia in Medio Oriente. Malgrado ciò, se la Francia è priva di mezzi all’altezza delle sue ambizioni, per fortuna, anche l’Is lo è. Proprio come avvenne con al-Qaeda, i successi dell’Is consistono sempre più nella conquista di titoli sui giornali e nell’attenzione dei social media. Il sistema Is è già arrivato a toccare il fondo. Aveva due punte su cui contare finora: un’espansione territoriale fulminea e il terrore, lo sgomento. L’Is non può definirsi uno “Stato” islamico. È più un califfato, sempre in modalità conquista: occupa nuovi territori, raduna sotto di sé musulmani provenienti da varie parti del pianeta. Questa caratteristica ha calamitato verso l’Is migliaia di volontari, attratti dall’idea di combattere per l’Islam globale, più che per un pezzo di Medio Oriente. Ma la portata dell’Is è circoscritta. Non ci sono più molte aree nelle quali espandersi rivendicando di essere difensori degli arabi sunniti.
L’attacco contro Hezbollah a Beirut, quello contro i russi a Sharm el Sheikh e gli attentati di Parigi hanno tutti il medesimo obiettivo: seminare terrore. Ma, proprio come l’atroce esecuzione del pilota giordano dette slancio al patriottismo perfino tra l’eterogenea popolazione giordana, gli attentati di Parigi trasformeranno la battaglia contro l’Is in una causa nazionale. L’Is andrà a sbattere contro il medesimo muro contro cui sbatté al-Qaeda: il terrorismo globalizzato non è più efficace, da un punto di vista strategico, dei bombardamenti aerei condotti senza il contemporaneo dispiegamento di truppe sul terreno. Proprio come nel caso di al-Qaeda, l’Is non gode di sostegno tra i musulmani che vivono in Europa. E riesce a reclutarne alcuni soltanto ai margini. Il problema, pertanto, adesso è capire come tradurre in azione efficace tutto lo sdegno e l’orrore innescati dagli atroci attentati di venerdì a Parigi. Un’offensiva coordinata dalle potenze locali appare altamente improbabile, tenuto conto delle divergenze nelle loro finalità e motivazioni ultime. Ne consegue che la strada che abbiamo davanti sarà lunga, a meno che l’Is non crolli all’improvviso sotto l’arroganza delle sue stesse aspirazioni espansionistiche o delle tensioni tra le sue reclute straniere e le popolazioni arabe locali. In tutti i casi, l’Is è il peggior nemico di se stesso.
© 2015 The New York Times Traduzione di Anna Bissanti