domenica 15 novembre 2015

Repubblica 15.1.15
Uccido dunque sono il credo nichilista del Califfo
Il terrore degli anni ’70, ugualmente atroce, aveva almeno una logica,
per quanto folle: dietro questi omicidi di massa c’è solo l’aberrante visione apocalittica
di Adam Gopnik

Il giorno dopo gli attentati, l’aria di Parigi è satura di paradossi. Venerdì pomeriggio al cimitero di Père Lachaise si era svolta una commemorazione funebre per il filosofo André Glucksmann e molti di coloro che hanno pronunciato un discorso funebre in suo onore erano proprio coloro che fanno fatica a trovare il modo giusto per parlare di terrorismo senza cedere alla rabbia a caldo o offrire in ostaggio all’illiberalismo l’apologia.
Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe accaduto di notte. Glucksmann, dopo l’11 settembre, aveva scritto un libro apprezzabile e significativo, non ancora tradotto, intitolato Dostoevskij, a Manhattan, nel quale aveva sostenuto che la natura reale del terrorismo moderno, compreso quello islamico, è il nichilismo, prima ancora che la religione o la politica: «Uccido, dunque sono». Certo, il comunicato in francese col quale l’Is si assume la responsabilità delle stragi, esulta più di profonda rabbia scatenata, di pura follia sanguinaria, giù giù fino all’antica furia puritana per l’esistenza stessa di quel luogo di piacere chiamato Parigi.
A Parigi questo terrorismo così feroce e nichilista non è certo nuovo. Ma, se non altro, gli attentati dei terroristi degli anni Settanta parevano ispirati da una finalità propagandistica, uccidere per un motivo che aveva un nome preciso e si poteva enunciare, per quanto folle. La nuova frenesia di stragi di massa, che vanno ben oltre le disumane necessità di una pubblicità diabolica, paiono invece riconducibili a una visione apocalittica di più ampie dimensioni, la rinnovata guerra di religione del dodicesimo secolo che il messaggio dell’Is sottolinea con così grande esultanza. Il comunicato avverte che questo è solo “l’inizio della tempesta”. Questa visione di una guerra permanente implacabile tra la modernità e un inesorabile desiderio neo-medievale di potere assoluto e di guerra totale di religione – che era poi la visione di Glucksmann – oggi è apparsa più convincente che mai per un gran numero di parigini.
Certo, le scene al teatro Bataclan sono quelle di una follia scatenata al di là di ogni plausibile normalità: prendere ostaggi non per una finalità precisa, ma soltanto per massacrarli, uno dopo l’altro.
Dopo l’undici settembre i newyorchesi appresero che una delle conseguenze più pericolose del terrorismo è la malattia autoimmune che subentra, per la quale gli anticorpi concepiti per attaccare il male invasore si ribellano contro il loro stesso corpo sano. Ieri mattina in Francia pareva esserci un consenso generale a favore di rastrellamenti e arresti di massa. Il fatto che si tratti di pochi individui non ne riduce la nocività. Ed è altresì difficile immaginare come tra coloro che più beneficeranno politicamente di una notte come questa possano non esserci Marine Le Pen e l’estrema destra. Ed ecco che, infatti, i loro slogan antimusulmani – sono loro i nostri implacabili nemici interni.
Si tratta di un messaggio che, nelle sue implacabili certezze, alla gente terrorizzata parrà seducente. Lo scopo del terrorismo è seminare il terrore. Ed è veramente difficile non vedere le catastrofiche conseguenze di questi attentati.
Ma in Francia c’è anche il desiderio, ben noto ai newyorchesi, di non farsi intimorire, di non farsi trasformare dal terrorismo in una cittadinanza incapace di provarlo. Gli abitanti di New York hanno appreso che si può vivere la vita o le proprie paure, e che è sempre più saggio vivere la vita. Questa mattina sul giornale Les Regles De Jeu (della direzione del quale faccio parte), rivolgendosi ai suoi concittadini Bernard Schlasa ha scritto che auspica «da parte di migliaia di uomini e donne musulmane una reazione plateale ed enorme di rinnegamento (“Not in my name”) per queste azioni… e che si arrivi a uno slancio gigantesco di solidarietà… e che francesi e immigrati condividano una medesima lotta per la democrazia.E che tutti noi dimostriamo la nostra fraterna umanità, testimoniando che i nostri valori sono universali e che un piccolo gruppo di individui non può dividerci. E subito, prima possibile, che tutti noi torniamo a sorridere e bere allegramente sulle terrazze dei nostri bistro, per dimostrare che non ci sottometteremo mai. Per dimostrare che amiamo la vita e che la difenderemo restando forti, serenamente forti. Più forti dei pazzi forsennati che agognano soltanto la morte».
È stato un bel desiderio, quello della Francia di stamattina, difficile da provare in una difficile mattina parigina.
Questo articolo esce contemporaneamente sul New Yorker. Gopnik è pubblicato in Italia da Guanda. Traduzione di Anna Bissanti