giovedì 12 novembre 2015

Repubblica 12.11.15
Se intorno alla villa di Israele rifiorisce la giungla
di Lucio Caracciolo


L’EX PRIMO ministro laburista Ehud Barak amava paragonare il suo paese a una villa nella giungla. Il suo successore Ariel Sharon era convinto di essere riuscito a proteggere la villa dal caos, congelando la questione dello Stato di Palestina a tempo indeterminato, almeno fin quando — suggeriva il suo braccio destro Dov Weisglass — «i palestinesi non si trasformeranno in finlandesi ». Chiuso quel fronte, salvo rapsodici esercizi verbali sui «due Stati» da lui stesso periodicamente smentiti, Binyamin Netanyahu ha individuato nell’Iran la sola ma tremenda minaccia esistenziale. E l’ha paragonato ad Amalek, equivalente biblico del nemico assoluto.
Oggi Amalek=Iran è stato riabilitato dagli Stati Uniti e dalle altre potenze mondiali, mentre i palestinesi, non ancora finlandesi, sono tornati in piena vista sulla scena internazionale. Non per merito dei loro screditati leader, ma per effetto della “rivolta dei coltelli”, pigramente classificata “terza Intifada”, che da Gerusalemme si è estesa, con intensità molto variabile, a diversi distretti d’Israele. Come se avendo trascurato di coltivare certe aiuole del suo giardino, villa Israele cominciasse a temere di vedervi crescere la giungla. (…) Tre caratteri di questa nuova stagione di violenza meritano di essere marcati, perché possono determinarne il futuro.
A) Sotto il profilo di sicurezza, per la prima volta Israele si trova ad affrontare una sollevazione caotica, punteggiata di attacchi individuali all’arma bianca da parte di attentatori disperati, non inquadrati in formazioni politico-militari. Nessuna gerarchia visibile e forse nemmeno occulta. L’intelligence israeliana studia l’”effetto Stato Islamico”, ovvero il riflesso imitativo che la propaganda del “califfo” starebbe producendo anche in campo palestinese. Netanyahu bolla la «combinazione fra Internet ed estremismo islamista». In formula: “Osama bin Laden incontra Mark Zuckerberg” B) Per conseguenza, gli apparati di sicurezza dello Stato, colti di sorpresa, non possono disporre né dell’intelligence né dei mezzi di repressione classicamente impiegati per sedare le insorgenze. Spiega un poliziotto di Gerusalemme: «Che cosa significa “intelligence” quando siamo di fronte a un tizio che si alza la mattina e invece di andare a lavorare afferra un coltellaccio da cucina o a un altro che si scaglia con l’auto aziendale contro una folla? Come puoi raccogliere informazioni di intelligence sui pensieri oscuri di un individuo?».
C) La grande maggioranza degli attentatori palestinesi viene da Gerusalemme Est. Annessa a Israele nel 1967, abitata da circa 200 mila ebrei e 350 mila arabi, ciascuno nei propri quartieri o periferie. Area negletta, se non terra nullius. Il cui effetto paradossale è di spingere il governo israeliano a elevare provvisorie (?) barriere di sicurezza fra zone arabe in rivolta e quartieri ebraici limitrofi, sezionando la sua capitale “eterna e indivisibile”. Solo misure di emergenza o l’inizio della partizione della capitale d’Israele? E chi ne governerebbe la zona a prevalenza araba?
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