La Stampa TuttoScienze 18.11.15
“I paradossi che fanno il genio”
Dalle equazioni alla costante cosmologica, l’avventura continua
di Gabriele Beccaria
Ha vinto al punto tale da essere diventato invisibile, dice uno dei suoi biografi, John Gribbin. Un secolo dopo la Relatività generale Albert Einstein è entrato così profondamente nelle nostre esistenze - dai gesti ai sogni quotidiani, dal Gps ai buchi neri - che non ci accorgiamo più di lui, spiega il «visiting fellow» di astronomia all’Università del Sussex e tra i più noti divulgatori scientifici del momento. È rimasto solo un anziano signore, con i capelli bianchi e ribelli.
Gribbin, lei ha scritto il saggio «Il capolavoro di Einstein», pubblicato da Bollati Boringhieri: le celebrazioni ci faranno capire un po’ di più un genio del XX secolo?
«Ho scritto il mio libro perché c’è stata molta attenzione, 10 anni fa, per la Relatività ristretta, ma quella generale è più importante e fondamentale e volevo diffondere questo messaggio. Ma non vedremo grandi celebrazioni. Mentre gli scienziati organizzano conferenze, il pubblico non connette i buchi neri o il Gps a Einstein».
Lei racconta una storia di paradossi. Primo esempio: Einstein è diventato l’icona dello scienziato, eppure lavorò a lungo come oscuro impiegato all’ufficio brevetti a Berna. Come si spiega?
«Ha lavorato a modo suo ed è per questo che ci confonde tanto. Ovviamente era un genio, ma non ha seguito un sentiero convenzionale e nel momento in cui si è rivelato non si basava sul lavoro di altri».
Come elabora il suo pensiero?
«Prende in considerazione le fondamentali equazioni di Maxwell e parte da lì, ma senza confrontarsi con quanto stanno facendo i contemporanei. E arriva a un esito totalmente nuovo. Riuscendoci perché è un genio».
Secondo paradosso: Einstein mette a punto le proprie equazioni, ma non avrebbe potuto farlo senza un po’ di «aiutini», come la geometrizzazione dello spaziotempo di Minkowsky e la teoria dei campi di Grossmann. Hilbert, poi, arriva a un soffio dalle formulazioni dello stesso Einstein. Genio sì, ma non isolato: è così?
«È un fatto che spesso non si coglie: non era un grande matematico, in compenso era un grandissimo fisico. E possedeva una straordinaria intuizione, come dimostra la concezione di gravità, che va molto al di là delle tecniche matematiche che padroneggiava».
Terzo paradosso: perché non credette fino in fondo alle conseguenze delle sue equazioni, come rivela l’ostilità per la meccanica quantistica?
«È il rovescio della medaglia della sua capacità di intuizione: oggi sappiamo che esistono “cose” che non appartengono al senso comune, ma Einstein ne fu portato fuori strada».
Tra i paradossi, c’è quello - forse il più grande - della «costante cosmologica»?
«Einstein non sapeva che l’Universo si sta espandendo e, per impedire questa possibilità, mise in campo la famosa costante. Ora sappiamo, invece, che il cosmo accelera e abbiamo quindi bisogno di una nuova versione della costante stessa per spiegare il fenomeno: ciò che considerò il suo peggiore errore si dimostra il suo maggiore trionfo».